mercoledì 9 maggio 2018

Tortura: solo se il fatto è commesso mediante più condotte


«Separati da un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. È uno dei momenti più vergognosi di quei giorni, uno dei momenti in cui dovrei arrestare i miei colleghi e me stesso. Invece carico insieme a loro Volinia su una macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al tavolaccio subisce l’acqua e sale».

La testimonianza è dell’ex commissario della Digos e poi questore Salvatore Genova, allora a capo di una squadra di torturatori detta dell’Ave Maria, che si occupava di interrogare e, secondo la confessione di Genova stesso, torturare i brigatisti e sospetti tali. Facevano un “uso massiccio di waterboarding (tortura dell'acqua), ma anche di violenze sessuali, pestaggi e abusi psicologici”. Salvatore Genova in seguito divenne deputato nelle file del PSDI, che poi lasciò per aderire alla DC (*).

La ragazza è Elisabetta Arcangeli, sospettata di essere collegata alla Brigate rosse. Il lavoro sporco venne eseguito, insieme alla sua squadretta di esperti del waterboarding, la tortura dell’acqua e sale, da Nicola Ciocia, alias professor De Tormentis, funzionario proveniente dalla Digos di Napoli. L’ordine veniva dall’alto, ben sopra il capo della polizia Coronas. Il semaforo verde giungeva dal vertice politico, “direttamente dal ministro Virginio Rognoni”.

«Il capo dell’Ucigos, De Francisci, ci dice che l’indagine è delicata e importante, dobbiamo fare bella figura. E ci dà il via libera a usare le maniere forti [… ] con la mano destra indica verso l’alto, ordini che vengono dall’alto, dice, quindi non preoccupatevi, se restate con la camicia impigliata da qualche parte, sarete coperti, faremo quadrato. […] Fino a dove arriverà la copertura? Fino a dove possiamo spingerci? Dobbiamo evitare ferite gravi e morti, questo ci diciamo tra di noi funzionari. E far male agli arrestati senza lasciare il segno».

Di casi come questi, specie in quegli anni, se ne registrarono a centinaia. Ci provò a denunciarli l’Espresso. Fu smentito e il giornalista Pier Vittorio Buffa fu arrestato per l’articolo Il rullo confessore. A proposito di libertà di stampa.

Nei confronti del prefetto Oscar Fioriolli, direttore Centrale Risorse Umane del dipartimento Pubblica Sicurezza, sono stati disposti gli arresti domiciliari, ma solo per la vicenda di appalti pubblici che lo vede coinvolto, non per i fatti di tortura. Ad Umberto Improta è stato intitolato un giardino pubblico a Roma, tra via dell’Amba Aradam e via della Ferratella in Laterano.

*

Dopo decenni il parlamento ha approvato la legge n. 110 del 14 luglio 2017, “Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano”, articoli 613-bis  e  613-ter  del  codice  penale. La repubblica nata dalla resistenza non s’era mai presa la briga prima di tale data di varare una legge contro la tortura e l’ istigazione alla tortura. In realtà questa legge legalizza la tortura:

«Art. 613-bis (Tortura). - Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze  fisiche  o  un verificabile trauma psichico a una  persona  privata  della  libertà personale  o  affidata  alla  sua  custodia,   potestà,   vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi  in  condizioni  di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro  a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte  ovvero  se comporta un trattamento inumano e degradante per  la  dignità  della persona.»

La tortura è reato, ma solo se il fatto è commesso mediante più condotte, cioè se gli episodi di tortura sono reiterati. Esempio pratico: essere denudati, legati al tavolaccio e subire il trattamento acqua e sale, oppure scosse elettriche ai genitali, per una sola volta, non basta perché si configuri il reato di tortura. Quanto al trattamento inumano e degradante per la dignità della persona, questo è fatto comune e quotidiano nelle carceri (come dimostrano le sentenze della Corte europea dei diritti umani), ma prova a denunciarlo, tanto più se sei ancora nelle grinfie degli aguzzini.

(*) «Sono gli specialisti dell'interrogatorio duro, dell'acqua e sale: legano la vittima a un tavolo e, con un imbuto o con un tubo, gli fanno ingurgitare grandi quantità di acqua salata. La squadra è stata costituita all'indomani dell'uccisione di Moro con un compito preciso. Applicare anche ai detenuti politici quello che fanno tutte le squadre mobili. Ciocia, va precisato, non agì di propria iniziativa. La costituzione della squadretta fu decisa a livello ministeriale.

[…] Tutti sanno come abbiamo fatto parlare Volinia e scatta l'imitazione, il "mano libera per tutti". Un gruppo di poliziotti della celere, che si autodefinisce Guerrieri della notte, quando noi non ci siamo, va nelle stanze dove sono i cinque brigatisti e li picchia duramente. Un ufficiale della celere, uno di quei giorni, viene da me chiedendomi se può dare una ripassata a "quello stronzo", riferendosi a Cesare Di Lenardo, l'unico dei cinque che non collabora con noi. Io non gli dico di no e inizia in quell'attimo la vicenda che ha portato al mio arresto. La mia responsabilità esiste ed è precisa, non aver impedito che il tenente Giancarlo Aralla portasse Di Lenardo fuori dalla caserma. La finta fucilazione e quello che accadde fuori dalla caserma lo sappiamo dalla testimonianza di Di Lenardo. Io rividi il detenuto alle docce. Degli agenti stavano improvvisando su di lui un trattamento di acqua e sale. Li feci smettere ma non li denunciai diventando così loro complice.

La voglia di emulare, di menar le mani, di far parlare quegli "stronzi" non si ferma a Padova. Di Mestre so per certo. Al distretto di polizia vengono portati diversi terroristi arrestati dopo le indicazioni di Savasta. I poliziotti si improvvisano torturatori, usano acqua e sale senza essere preparati come Ciocia e i suoi, si fanno vedere da colleghi che parlano e denunciano. Ma l'inchiesta non porterà da nessuna parte.

Quando i giornali cominciano a parlare di torture e scatta l'indagine contro di me e gli altri per il caso Di Lenardo mi faccio vivo con Improta, gli dico che non voglio restare con il cerino in mano, che devono difendermi. Lui promette, dice di non preoccuparmi, ma solo l'elezione al Parlamento propostami dal Partito socialdemocratico mi toglie dal processo. Gli altri quattro arrestati con me vengono condannati in primo grado e, alla fine, amnistiati.»


1 commento:

  1. Grazie per questo post. Per tutti, chiaro, ma in particolare per questo.

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