domenica 11 marzo 2018

That is the question



Quando scrivo, come nel post precedente, che eccezione fatta per sparuti gruppi politici semiclandestini, o singoli soggetti isolati, nessuno mette più in dubbio i fondamenti sui quali poggia il capitalismo, pur criticandone alcune sue proprie manifestazioni, ciò non significa che le contraddizioni che stanno alla base del sistema non continuino ad operare con la forza immanente della necessità, e dunque a pregiudicare non solo la stabilità del sistema sociale ma ponendo anche a rischio le possibilità e le condizioni di vita su questo pianeta. Non è questione di maggioranza/minoranza.

La tragedia verso la quale stiamo precipitando – e a tal fine abbiamo tutti i mezzi di controllo e previsione per misurare con esattezza e in anticipo dove ci sta conducendo – è già perfettamente dimostrata nella tendenza, e dunque la questione del capitalismo si pone e si porrà nostro malgrado come il problema stesso della possibilità materiale di esistenza dell’umanità. Non bruscolini.

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Per quanto riguarda l’aspetto propriamente politico e sociale, c’è da chiedersi quali siano i motivi per i quali da un lato si assiste al declino del riformismo e dall’altro perché la crisi non abbia sviluppato un movimento antagonista di tipo classico e abbia invece favorito i cosiddetti “populismi”.

In tutto ciò si possono ravvisare delle marcate analogie con gli anni Trenta del secolo scorso (compresa la questione del protezionismo che oggi, come già allora, può deflagrare), e però con una differenza sostanziale, ossia la presenza per un lungo tratto del Novecento di un forte e organizzato movimento di opposizione che guardava all’Unione sovietica come a un modello.

Poco importa che l’Urss fosse nella realtà storica tutt’altro da ciò che una grossa parte del proletariato presumeva, e nulla vale che i dirigenti dei partiti comunisti europei puntassero ognuno a una propria via al socialismo. Contava ciò che l’Ottobre e l’Urss rappresentavano nell’idea e nel sentimento generale. Ed è precisamente ciò che manca oggi, cioè un programma di lotta e un modello alternativo di società al quale riferirsi.

Poi vi fu un cambiamento, graduale e progressivo, non senza tensioni e lacerazioni. La crisi del modello pseudo-socialista e del suo mito data da molto prima del 1989, e lasciava posto al riformismo nelle sue varianti nazionali. La borghesia non stava scomparendo, il numero di persone abbienti era in aumento e non in diminuzione, il capitale non si concentrava in pochissime mani, un nuovo ciclo economico espansivo favoriva anche le classi lavoratrici che raggiungevano in quegli anni condizioni di diffuso benessere e un accesso ai consumi dapprima sconosciuto.

Si radicava l’idea che il riformismo fosse la strada più adatta per progredire verso una società più giusta, che il capitalismo, se ben diretto e regolato, rappresentasse l’opzione migliore.

Pochi decenni, e gli effetti della globalizzazione, della crisi e delle nuove tecnologie hanno revocato non solo in dubbio, ma polverizzato le aspettative sul piano delle opportunità e del welfare. Le nuove generazioni si trovano ad affrontare una situazione economica e sociale ben diversa da quella che ha accompagnato, in sviluppo, le generazioni del secondo dopoguerra.

Ritenere che il riformismo ne esca screditato perché non ha saputo ben dirigere e regolare i processi in atto è solo una parte della verità e nemmeno la parte di verità più decisiva per spiegare una sconfitta storica.

Il riformismo, variamente denominato, è una forma di opportunismo mascherato da realismo politico, che, pur non negando le contraddizioni del sistema, sostiene che esse possono essere negoziate e gestite sul piano politico-programmatico.

Negli effetti, la vittoria momentanea del riformismo, quale espressione politica, e quella dell’anti-marxismo, quale fondamento teorico, è stata tutta nella misura in cui la collaborazione con la borghesia è servita a rendere la classe dominante più forte e il suo potere assoluto.

Ciò che gli apologeti del sistema non possono occultare della realtà del modo di produzione capitalistico, sono gli effetti della contraddizione fondamentale che sta alla base del processo di valorizzazione del capitale. Il disorientamento in cui è piombato l’establishment politico e il fallimento di ogni previsione degli economisti borghesi ne costituiscono una conferma.

Solo alla luce del marxismo le cause e i fenomeni politici e sociali che accompagnano la crisi del modo di produzione capitalistico trovano risposta sul piano scientifico. Marx ha dimostrato, tra l’altro, come risulti insuperabile nell’ambito del capitalismo la contraddizione fondamentale tra sviluppo delle forze produttive e l’ordinamento dei rapporti di produzione in cui domina l’appropriazione privata della ricchezza. That is the question.

Pensare di ricostruire “la sinistra” su un programma riformista che lo stato delle cose smentisce nei fatti salienti, cioè nei modi della globalizzazione e nel mutamento della struttura sociale e di classe, significa alimentare amene illusioni e false speranze, significa andare incontro a nuove sconfitte. Ed è esattamente ciò che milioni di proletari hanno capito, salvo farsi lusingare dalle promesse elettorali della vandea poujadista.

Pertanto la sinistra può essere ricostruita solo sulla base della critica radicale della società borghese in tutti i suoi aspetti di dominio e mistificazione, solo sull’antagonismo reale degli sfruttati contro gli sfruttatori, dunque solo come sinistra di classe nella prospettiva del comunismo, senza compromissioni con la borghesia e comparsate parlamentari.

4 commenti:

  1. In coda all'ultimo paragrafo del tuo ennesimo, splendido post, mi permetto di aggiungere una cosa, implicita, all'imperativo che serve per ricostruire la sinistra: e cioè, che essa o sarà internazionale (sovranazionale) o non sarà.

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  2. si sono comprati tutti gli "intellettuali". IL problema è che gli "intellettuali" devono sempre essere se non mantenuti almeno tollerati da qualche "principe", ma nel mondo globalizzato del "grande capitale" ( questo sì "internazionalista" davvero ) non ci sono più isole di salvezza : "chierico" servi ( ben pagato, ma sempre meno ) o muori.
    ws

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  3. internazionalista davvero?

    già che tu sei della parrocchia che si eccita col capitale denoialtri

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