sabato 13 maggio 2017

O sotto l’ombrellone o a Regina Coeli



Tutto sommato gli è andata bene, sei mesi di carcere per ognuna delle vittime del più idiota dei naufragi. In altri tempi l’avrebbero appeso al bompresso, oppure sarebbe stato obbligato ad inabissarsi con la nave.

Che il comandante segua le sorti della nave in caso di naufragio è uso abbastanza recente e ha, in origine, motivazioni economiche. A fronte del ripetersi di naufragi sospetti, cioè dolosi, specie di vecchie bagnarole, le assicurazioni di Londra imposero nei loro contratti una clausola secondo la quale il comandante, in caso di naufragio, doveva colare a picco con la nave se si voleva che l’assicurazione rifondesse all’armatore il danno. Trovato l’inganno, fatta la legge. Non ci volle molto perché i naufragi dolosi scomparissero e il sacrificio dei comandanti diventasse un punto d’onore.

Non andò così per una fregata francese, la Méduse, incagliatasi nel 1816 al largo delle coste della Mauritania, a causa dell’incompetenza del suo comandante, Hugues Duroy de Chaumareys. Il capitano e il suo equipaggio presero posto su sei scialuppe, altri su una zattera che fu legata con una cima a una delle barche. Su wikipedia si legge che “Il capitano e gli altri passeggeri sulle barche decisero inizialmente di trascinare la zattera, ma dopo pochi chilometri l'imbarcazione affondò parzialmente a causa del peso degli uomini, la cima si ruppe e fu abbandonata al proprio destino”. Non è vero che la cima si ruppe, bensì fu tagliata nel corso di un temporale. Vero è che in seguito i sopravvissuti si diedero al cannibalismo. L’episodio è molto noto perché fu immortalato in una grande tela (Le Radeau de la Méduse) dipinto dal povero e sfortunato Théodore Géricault.


Un altro naufragio, meno famoso fino alla recente uscita del film In the Heart of the Sea, vide protagonista il 20 gennaio 1820 una baleniera americana, la Essex, nell’Oceano Pacifico, attaccata da un’enorme cetaceo, il quale riuscì a sfondare con i suoi colpi la chiglia della nave. Venti uomini dell’equipaggio riuscirono a mettersi in salvo su tre scialuppe. La decisione di dirigersi verso est e non verso ovest, dove in pochi giorni avrebbero trovato salvezza nell’isola di Pitcairn, quella degli ammutinati del Bounty, fu fatale ai naufraghi della Essex, i quali, costretti dalla fame, si diedero al cannibalismo.

Uno dei due superstiti delle scialuppe della Essex, Owen Chase, scrisse Narrazione del naufragio della Baleniera Essex di Nantucket che fu affondata da un grosso capodoglio al largo dell'Oceano Pacifico. Il libro capitò in mano a un certo Herman Melville, il quale se ne servì come traccia per il suo Moby Dick, pubblicato nel 1851.

Altre avventure e naufragi vissuti e raccontati in prima persona sono quelli di Henry de Monfreid, Sono disponibili in traduzione tre volumi per i tipi della Magenes editoriale, a prezzi popolari. I racconti di de Monfreid furono editi in Italia anche negli anni 1930. Il motivo fu molto semplice: l’avventuriero e contrabbandiere francese nutriva una speciale idiosincrasia per gli inglesi, un po’ perché veri bastardi, ma soprattutto perché si contrapponevano ai suoi traffici sul Mar Rosso, com’è descritto per esempio in La crociera dell’hascisc. Per chi ama le avventure di mare c’è dunque de Monfreid, il quale scrive molto bene.

In alternativa, per chi ha la fortuna di non averli ancora letti, ci sono i 19 volumi di Patrick O'Brian, dai cui racconti è stato tratto anche il film, non proprio un capolavoro, Master and Commander. Tutto lasciava presagire, compresa la scena finale del film, che vi fosse un sequel, ma credo che il grande pubblico preferisca le navigazioni di fantaoniriche navi spaziali. Puah.

Pertanto, o sotto l’ombrellone, o a Regina Coeli, per chi ama il mare e ciò che vi accade, c’è molto da leggere sull’argomento.



9 commenti:

  1. Delle opere di Conrad cosa ne pensa, Olympe?
    Qualche anno fa rimasi folgorato da "Cuore di tenebra". Ho in lista "Nostromo", "Lord Jim" e "La sottile linea d'ombra". Se solo il tempo non fosse così tiranno...

    P.s.: segnalo che, sul numero mi maggio di "Storica National Geographic" é presente un articolo di quattro pagine su Olympe de Gouges.
    Nulla che non conosca già, ma glielo dovevo.
    Il saggio consigliato per approfondire è "Olympe de Gouges e i diritti della donna" di Sophie Mousset, Argo, 2005.

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    1. grazie per la segnalazione, molto gentile
      Conrad l'ho letto oltre 40anni fa e non mi ha particolarmente entusiasmato. forse il mio era un giudizio immaturo, magari se lo rilegesi oggi cambierei opinione

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  2. I tuoi riferimenti bibliografici sono sempre preziosi, ma la storia del comandante che per contratto o per "punto d'onore" affonda con la nave non credo abbia fondamento.
    Quanto a Schettino, mi pare che qualcosa non quadri nella catena di responsabilità. Se ammettiamo che uno diventi comandante (o primario, o dirigente dell'Agenzia delle Entrate) solo perché è raccomandato, e poi si cercano le responsabilità in caso di episodi che per incapacità sfociano in reati, sarebbe giusto che in galera ci andassero i raccomandanti e coloro che hanno ceduto alle pressioni dei raccomandanti. Una pena più lieve a chi si è fatto raccomandare.

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    1. la faccenda delle assicurazioni me la sono inventata?

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    2. Più probabilmente, hai contaminato ricordi.

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  3. Secondo il mio sommesso giudizio è troppo facile incolpare soltanto Schettino. La domanda che occorre allora porsi per comprendere le cause del disastro della “Costa Concordia”, se non si vuole incolpare del medesimo soltanto la leggerezza e la mancanza di professionalità e di senso dell’onore marinaresco dimostrate dal comandante della nave, è la seguente: chi era sul ponte di comando? Infatti, in quel momento il comandante e qualche altro ufficiale erano a cena con gli ospiti, che si erano messi in grande spolvero per la serata. Resta poi da considerare il personale, di cui si può senz’altro supporre che possedesse un minimo di addestramento alle situazioni di emergenza, eccezion fatta per quel 10/15 % di esso costituito da qualche centinaio di precari che conoscono, quando va bene, poche parole d’inglese e che certamente non erano preparati ad affrontare tali situazioni. E un’altra domanda va posta: qualcuno aveva verificato il funzionamento dei dispositivi di ammaraggio e di sgancio delle scialuppe di salvataggio? Risulta, a tale proposito, che nessuno lo avesse fatto.
    Mi permetto di porre queste domande anche perché sono originario di Genova e, contando nella mia famiglia un fratello e un cugino che sono ufficiali di macchine della marina mercantile e prestano servizio sulle navi della società anglo-americana Carnival che è la proprietaria della “Costa Concordia”, credo di conoscere un poco questo mondo. Un mondo che esibisce navi da crociera dotate, nelle versioni più recenti come la “Costa Concordia”, delle più sofisticate apparecchiature di bordo.
    Quali sono dunque le cause del disastro? La causa principale attiene, secondo me, ad un deteriore fenomeno di carattere subculturale. Infatti, non si tratta tanto del grado maggiore o minore di preparazione del personale, del controllo del funzionamento delle apparecchiature e della competenza degli ufficiali, quanto soprattutto della subcultura del divertimento (chiamiamolo pure il ‘modello-Rimini’), alla quale sono connessi certi comportamenti improntati a superficialità e irresponsabilità (spesso, va detto, accentuati dall’uso di sostanze stupefacenti). Una nave da crociera è un osceno ‘modello-Rimini’ galleggiante, che coinvolge anziani e bambini, donne in cerca di emozioni forti e suore, portatori di handicap e malati cronici, tutti risucchiati nel gorgo di un clima euforico che è funzionale al consumismo. Basti pensare che le stesse cabine sono dei loculi angusti e scomodi, costruiti così per costringere i passeggeri a circolare per la nave comperando merci e servizi vari. I profitti dell’armatore provengono, infatti, dallo ‘shopping’ in egual misura che dal biglietto di viaggio. Ed è proprio lo spirito del ‘modello-Rimini’ quello che porta questi mostri a rasentare pericolosamente le coste più belle, invadendo le acque protette dei pochi e non sorvegliati parchi marini.

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    1. alcune delle sue considerazioni, specie per quanto riguarda il personale, le ho fatte mie in un post all'epoca del naufragio

      concordo anche sul modello Rimini

      anche sulle sue considerazioni finali sono d'accordo

      non sono d'accordo su un punto: per me il c.te è sempre e cmq "il responsabile" di tutto ciò che accade a bordo

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  4. Il mood lacrimevole e assolutorio preso ora dai media sulla vicenda Schettino, e incredibilmente più diffuso di quanto non pensassi, non lo reggo, mi fa orrore. So che l'uso invalso in tutti i campi della vita civile e sociale è l'infame scarico di responsabilità dal superiore all'ultima ruota del carro, ma in mare non dovrebbe esistere il capitano che fa naufragio per una cavolata e poi fa la vittima. E' una cosa indecente.

    Il forte di Master and Commander sono le scene belliche, splendidamente ricostruite come nel cinema italiano, da sempre perso tra commediacce, tinelli e intrighi dialettali, sembra essere impossibile. Il resto è abbastanza bolso, sono d'accordo con Olympe.

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    1. sposo in pieno
      basta vedere come hanno ridotto la vers. it del film fr. "cena tra amici"
      in Master and Commander mi è piaciuta la scena PRIMA dello scontro, tra la nebbia, che si apre con un lampo di cannone

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