venerdì 27 maggio 2016

Il mero titolo di cittadini


Scrive il direttore del Sole 24ore che il costo del lavoro in Italia è cresciuto negli ultimi lustri più che in paesi come la Germania o la Francia. Non so s’è vero, ad ogni modo si tratta di oneri, di tassazione, poiché i salari dell’industria italiana non sono paragonabili a quelli dell’industria tedesca e nemmeno di quella francese. Sono tra i più bassi dell’area euro. Ma questo particolare viene taciuto, poiché la malafede è tanta e non ci si può aspettare, al riguardo, alcuna parola di verità da chi scrive unicamente in difesa degli interessi del padronato e da questi è pagato.

La stessa cosa dicasi per quanto riguarda la produttività del lavoro: lo sfruttamento della forza-lavoro italiana è tra i più intensivi non solo in Europa, ma nell’Occidente. E dunque se la produttività del lavoro, pur in presenza di uno sfruttamento più elevato della forza-lavoro, ristagna, evidentemente cause e motivi vanno ricercati altrove. E perciò c’è tanta ideologia e malafede nelle dichiarazioni del nuovo presidente degli industriali italiani: “costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, avendo come bussola lo scambio salari-produttività”. Tradotto, significa: aumentare ancor di più il saggio di sfruttamento della forza-lavoro.

Da questa gente non c’è da aspettarsi nulla, essi possono confidare altresì nella mansuetudine dei lavoratori italiani. In Francia non è così. Verrebbe quasi da dire che i lavoratori italiani sono in generale senza dignità. E però bisogna tener conto di una situazione assai diversa da quella francese. I lavoratori italiani sono stati, più ancora che in Francia, abbandonati da tutti, dai partiti (che non esistono più) e dai sindacati, i quali sono gli unici attori accreditati a negoziare i contratti collettivi nazionali: niente sindacati di base, niente sciopero (il conflitto non è più ammesso, pena sanzioni [*]), di modo che lo sfruttamento da individuale e privo di regole diventa collettivo e regolato (vedi accordi sottoscritti del 28 giugno 2011, del 31 maggio 2013, e del 10 gennaio 2014).

I lavoratori sono stati abbandonati anche da quel ceto intellettuale che almeno a parole un tempo si schierava dalla parte di chi per sopravvivere deve sfangarla davvero. A questi milioni di lavoratori rimane il mero titolo di cittadini, nel loro insieme costituiscono ancora formalmente il popolo sovrano, ma la realtà è ben diversa, poiché quando tutto è aleatorio e i lavoratori sono sottoposti alla volontà incondizionata dell’impresa da cui dipende la loro vita, allora questi lavoratori non diventano altro che oggetto di scambio, degli schiavi dei loro padroni.


[*] Lo sciopero è un diritto individuale, che però viene sempre esercitato in forma collettiva: presuppone quindi l’esistenza di una organizzazione dei lavoratori che lo dichiari. Con gli accordi sottoscritti da CGIL, CISL, UIL e Confindustria, un sindacato è sottoposto a sanzioni economiche e sospensione di diritti sindacali, nel caso utilizzi l’arma dello sciopero come “iniziativa di contrasto”, ossia l’unica forma di lotta con cui i lavoratori abbiano mai ottenuto risultati concreti. Sono state create pertanto le condizioni perché nessuna associazione sindacale possa dichiararlo, e ciò significa nei fatti rendere nullo il diritto di ogni singolo lavoratore.

1 commento:

  1. Sempre dal nuovo pontefice massimo di confindustria:
    "Siamo pienamente coscienti del vincolo stringente del debito pubblico e del fatto che non è con il debito che si costruisce una crescita duratura. Tuttavia non vanno bene neanche le politiche di austerità che assomigliano ad un accanimento terapeutico”.

    Prima bramano ed accolgono con applausi scroscianti incentivi, decontribuzioni e detassazioni che drogano il mercato (già tossicodipendente di per sé).
    Poi pretendono pure debito in discesa e meno austerità, magari per aumentare la "propensione al consumo" degli schiavi.
    Della serie: la botte piena, e la moglie ubriaca.

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