giovedì 9 luglio 2015

Tra Euclide e Euripide


Dopo che i governi europei hanno prestato i soldi alla Grecia perché questa rimborsasse le banche europee creditrici portando il debito del paese dal 120 al 180 per cento del Pil, ora si chiede alla stessa Grecia di restituire quanto prestato. Ovviamente Atene non può far fronte al gigantesco debito e ne chiede una riduzione. Col cavolo rispondono i creditori, nessuna riduzione del debito. Per ottenere altro credito necessario alla sopravvivenza si chiedono in cambio delle riforme.

Si chiede di portare l’Iva dal 7 al 23 per cento agli alberghi, tagli alle pensioni di un punto percentuale del Pil e una stretta fiscale del 2 per cento. Quindi far pagare le tasse agli armatori. Chi governa ad Atene non ha la forza sufficiente per imporre queste e altre riforme anche perché ciò tradirebbe platealmente il mandato elettorale che ha ricevuto Syriza.

Per uscire da questa situazione di stallo il governo greco ha bisogno da un lato di ricompattare le varie anime di Syriza e dall’altro di scaricare la responsabilità delle decisioni sul popolo greco. Due piccioni con un plebiscito. Per i greci qualunque risultato fosse sortito dal plebiscito, non sarebbe cambiato nulla. Sulla ruota di Atene è uscito vincente il No, che, a conti fatti, ha la stessa valenza del Sì.



Il plebiscito è stato una manovra politica volta a creare condizioni più favorevoli per l'attuazione di quel programma che il nuovo ministro delle finanze, Euclide Tsakalotos, ha tracciato nella sua lettera a Bruxelles, nella quale s’impegna a imporre “immediatamente un insieme di riforme e misure da attuare nei settori della sostenibilità fiscale, la stabilità finanziaria e la crescita economica a lungo termine”. Qual è la differenza tra questa posizione e quella che si sarebbe assunta se avesse vinto il Sì?

A questo punto l’Ue potrebbe scaricare Atene ma, nell’ordine emblematico di questa nostra epoca, subentrano note ragioni geopolitiche. Perché non si prendono ordini solo da Berlino e New York, ma anche da Washington ovviamente. Un compromesso sulla proposta di Tsipras per “riforme credibili” e per una “soluzione equa e praticabile” si sta cercando e, a meno di colpi di scena come il dopo Sarajevo del 1914, si troverà. E tuttavia la resa dei conti è solo rinviata.

Dopo aver servito, volente o nolente, gli interessi della classe dominante Syriza alle prossime elezioni politiche potrà presentarsi divisa e lasciare il passo ad altri. Tsipras dirà di aver agito per necessità, altri lo accuseranno di averli traditi. In ogni caso sarà dimostrato che la sinistra riformista è sempre perdente quando si mette in affari col mondo mercantile, laddove ogni divieto è abolito, salvo quello di non pagare.



Più che a una farsa, come scrissi, ormai assistiamo a una tragedia di Euripide. A pagare il conto della colpevolezza che colpevolizza saranno sempre gli stessi, in Grecia e nel resto d’Europa. Anche di soldi nostri infatti si tratta. Ci raccontano che non ce ne sono per fare una riforma seria delle pensioni o per un salario minimo, ma si dispongono decine di miliardi per il cosiddetto fondo salva Stati, per altri aerei da guerra, per un pazzesco riarmo della marina militare, in un perfetto accoppiamento tra spesa parassitaria e acquisti inutili.

7 commenti:

  1. e se Tsipras attuasse le riforme fiscali che gli vengono chieste e utilizzasse i soldi per rilanciare una politica industriale in modo da potersi materialmente permettere, tra qualche anno, di uscire dall'euro e non pagare più nessun debito ?

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    1. se non si pagano i debiti si esce dal circuito internazionale dei crediti e di tutto il resto. se lei ha letto i miei post sull'argomento dovrebbe esserle chiaro che nell'attuale competizione internazionale non c'è spazio "per rilanciare una politica industriale". e poi di quale industria greca stiamo parlando?

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    2. una industria nazionale, tutta da inventare, che fornisse macchinari, medicinali e tutti i prodotti assolutamente necessari. Tale industria, rivolta solamente al mercato interno, dovrebbe naturalmente essere difesa dalla competizione internazionale attraverso la svalutazione della dracma e l' adozione di politiche protezionistiche.. Non c'è altro modo.

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    3. credo che opti per una concezione dell'economia un po' datata

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    4. mah, io sarei liberista, sia in ambito nazionale che internazionale. Credo, però, che il liberismo senza redistribuzione produca miseria. Dunque, è meglio, secondo me, che ogni paese si attrezzi come meglio può.

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    5. A volte ritornano: l'illusione di un sistema produttivo che, stante determinate leggi economiche, possa prescindere dalle esigenze di valorizzazione del Capitale; il nazionalsocialismo, o Capitalismo di stato; ecc...
      Manca soltanto qualcuno che cerchi un improbabile accostamento tra falce e martello e la croce.
      Ah no, mi dicono che dalla Bolivia qualcuno ha già riproposto anche questa merce avariata.
      Che mestizia.

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    6. la falce e martello col cristo, un connubio perfetto

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