domenica 7 giugno 2015

L’unico numero sulla ruota che non è ancora uscito


Con questa calura servono letture leggiere e perciò, scartato ogni ultimo capolavoro nella gamma dal mediocre al pessimo, il racconto storico soccorre come solito. Il libro è fresco di stampa, un mattoncino di 429 pagine, ben corredato di topografia dei luoghi in cui si svolsero i fatti scorrevolmente narrati. L’autore è Antony Beevor, un ex ufficiale britannico ed esperto di storia militare. Il lavoro ha per titolo Ardenne 1944, ma nell’edizione italiana hanno aggiunto un pleonastico sottotitolo: L’ultima sfida di Hitler.



Il libro è interessante per diversi aspetti che forse i non cultori del genere ignorano, per gli altri vale punti il ripasso: repetitio est mater studiorum. Per quanto la cosa sia nota si resta sempre un poco sorpresi dal fatto che i più alti gerarchi nazisti fino all’ultimo tentassero di farsi le scarpe l’un l’altro. Anche nel campo degli alleati era guerra aperta tra i vari generaloni – e anche su questo Hitler puntava –, tra tutti quello tra Montgomery ed Eisenhower, con relativo scambio di complimenti piccati, e la più nota e feroce disputa tra De Gaulle e Churchill.

Hitler ebbe a dichiarare alla riunione del 31 agosto: “Verranno momenti in cui le tensioni fra gli Alleati diventeranno così forti che una rottura sarà inevitabile. Nella storia del mondo, prima o poi le coalizioni si sono sempre disfatte”. Il Führer conservava, anche dopo l’attentato del 20 luglio e la paranoia che ne seguì, una lucidità che gli consentiva di valutare con realismo la situazione. Egli voleva trasformare ogni città, ogni borgo, in una fortezza, come successe ad Aquisgrana (il libro dedica un capitolo). Nel suo sprezzante cinismo Hitler sapeva che ogni giorno di guerra procrastinava la sua fine.

Il dissidio tra Montgomery ed Eisenhower fu causa della mancata e rapida presa del porto di Anversa, strategicamente fondamentale per i rifornimenti delle armate alleate. E proprio sulla questione dei rifornimenti si possono leggere (dalle parti di pagina 66) le cose più curiose riportate dal libro. Qualche esempio.

In genere i soldati pareggiavano le spese in alcol e prostitute (Pigalle veniva chiamata Pig Alley) comprando stecche di sigarette a 50 centesimi allo spaccio militare e le rivendevano a 15-20 dollari. Neanche a Napoli ai tempi d’oro. Le truppe statunitensi non sfruttavano solo la loro esenzione dalle tasse d’importazione ma anche il fatto che non erano sottoposti a controlli sul cambio di valuta: potevano guadagnare somme considerevoli a danno del governo francese convertendo in dollari la loro paga in franchi francesi al tasso ufficiale, per poi rivendere i dollari sul mercato nero.

Bande organizzate, con la complicità dei disertori americani, si diedero al saccheggio dei rifornimenti: benzina, sigarette e viveri soprattutto. Il racket più famigerato in quell’autunno fu quello organizzato dal battaglione delle ferrovie. I soldati aiutavano gruppi di gangster che fermavano i treni in una curva in modo che gli uomini della polizia militare incaricati di vigilare contro i furti – che stavano all’estremità del treno – non potessero vederli mentre scaricavano carne, caffè, sigarette, uniformi, coperte dai treni ospedale e cibi in scatola. Un pacco di caffè da nove chili poteva essere venduto per 300 dollari (di quel tempo!) e una scatola di 10 razioni per 100. Nel giro di un mese sparirono 66 milioni di pacchetti di sigarette.

Si rubava soprattutto benzina, il carburante che avrebbe dovuto condurre gli americani a Berlino. I profitti ricavati dalla benzina rubata all’esercito erano talmente alti che perfino i trafficanti di droga vollero entrare in questo nuovo mercato. Sparì la metà delle taniche giunte in Europa continentale. L’inasprimento delle pene, “l’aggiunta di sostanze coloranti per rendere la benzina più tracciabile e numerosi altri tentativi messi in atto dalle autorità americane per contrastare queste forme di malavita non riuscirono ad intaccare un traffico che veniva ad aggravare ulteriormente il problema dei rifornimenti al fronte”. Parigi prese il nome di Chicago-sur-Seine.

Centottanta ufficiali e soldati furono arrestati e condannati per questo genere di attività, con pene dai tre ai cinquant’anni.

Il mercato nero proliferava anche dall’altra parte della barricata, cui si aggiungeva il problema dei lavoratori stranieri. Le classi più ricche erano sempre più preoccupate di questo problema, per le decine di migliaia di lavoratori stranieri dentro e attorno alle città, la maggior parte dei quali era stata deportata ai lavori forzati. I baraccamenti in cui erano alloggiati venivano dati spesso alle fiamme, lasciandoli così senza un tetto. I negozianti sostenevano che le bande di stranieri scassinavano le loro botteghe rubando la merce, “anche se erano loro stessi a vendere i beni mancanti sul mercato nero” (p. 64).

Le merci più ricercate erano ovviamente cibo e sigarette. A Berlino una sigaretta inglese poteva costare fino a cinque marchi, ma una Camel valeva il doppio. Il caffè costava 600 marchi il chilo ed era dunque fuori della portata quasi di chiunque, e il suo traffico era per la maggior parte gestito dalle Ss in Olanda. Naturalmente era diventato uno status symbol nelle gerarchie naziste, ma è interessante, oltre a quanto racconta l’Autore del libro, anche quanto scriveva a proposito delle élite privilegiate del tempo un certo Céline nel suo D'un château l'autre.

Di rilievo la descrizione (capitolo 4) di Beevor di come decine di migliaia di giovani americani, arruolati come rimpiazzi, fossero mandati al massacro pressoché nell’indifferenza di tutti, anche dei loro compagni più anziani. “Solo se un rimpiazzo era ancora vivo dopo quarantott’ore passate al fronte, aveva ancora qualche speranza di resistere un po’ più a lungo”. Uno degli ufficiali dello stato maggiore del generale Bradley rifletté sul destino di uno di questi ragazzi spesso nemmeno di vent’anni:

«Le sue chance di sopravvivenza sembrano essere al massimo, dopo che è giunto al fronte, forse di una settimana. Ma poi, stando dietro una scrivania in un quartier generale, [ci] si rende conto, un po’ come l’attuario di una compagnia di assicurazioni, che quelle probabilità continuano a scendere sempre più, lentamente ma in modo costante e con certezza matematica. Le probabilità calano per ogni giorno che rimane sotto il fuoco nemico finché, se ci rimane abbastanza, si ritrova a essere l’unico numero sulla ruota della roulette che non è ancora uscito in un’intera serata di scommesse. E lo sa anche lui».

Sarebbe interessante una statistica sulla provenienza sociale dei caduti statunitensi in guerra per vedere quanti figli dell’aristocrazia venale americana sono finiti sottoterra in rapporto ai figli di operai, contadini, impiegati e piccoli bottegai.

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