lunedì 9 marzo 2015

Un'altra storia


Le celebrazioni per il 50° anniversario della marcia da Selma a Montgomery, con la presenza del noto criminale di guerra George W. Bush e altri cento membri del congresso, dovrebbero far riflettere sul grado di mistificazione raggiunto nelle nostre società, un livello che non ha nulla da invidiare a quello raggiunto dai regimi dittatoriali del Novecento. E che gli Stati Uniti siano un paese governato da un’élite razzista e reazionaria non è una novità.

Quel giorno, il 7 Marzo 1965, centinaia di manifestanti per i diritti civili che chiedevano il diritto di voto (poveri illusi) sono stati selvaggiamente picchiati dalla polizia mentre tentavano nella loro marcia di attraversare l’Edmund Pettus Bridge a Selma, in Alabama, per dirigersi verso la capitale dello stato, Montgomery. Anche se il pestaggio non raggiunse le vette di brutalità di Genova 2001, si trattò di un episodio di violenza poliziesca che ebbe molta risonanza mediatica.



In realtà i neri non manifestavano solo per ottenere (nel 1965!) l’effettivo diritto di voto (e ciò la dice lunga sulla democrazia in America), ma per l’abolizione del sistema di segregazione instaurato in particolare con le cosiddette leggi di Jim Crow. La questione del diritto di voto era sì importante, ma non quanto gli altri elementari diritti civili, quali per esempio poter accedere in un bar o in un hotel per “bianchi”. Quelle leggi furono abolite formalmente, ma oggi per molti aspetti la segregazione razziale esiste ancora. È stata semplicemente mascherata.

Il medioevo razzista non poteva continuare come prima, questo le élite bianche “progressiste” l’avevano ben chiaro. Nel 1961, per fare un esempio, nella contea di Prince Edward, in Virginia, la resistenza dei bianchi alla integrazione razziale aveva portato alla chiusura di tutte le scuole, tanto che dovette intervenire il ministro della giustizia con un’azione legale per ottenerne la riapertura! E però l’amministrazione Kennedy, come scrive Arthur Schlesinger,  diede però “priorità al diritto di voto” (*), rispetto agli altri diritti civili. Per quale motivo?

Come scrivevo in un post del 28 novembre scorso, si dovette attendere l’agosto del 1965, dopo il “Bloody Sunday” e la marcia su Montgomery, perché fosse concesso ai neri di votare. John F. Kennedy, nel 1957, si era espresso contro i diritti civili dei neri, ma se nelle elezioni presidenziali del 1960 soltanto i bianchi fossero andati alle urne, Nixon avrebbe avuto il 52 per cento dei voti e Kennedy non avrebbe potuto vincere nell’Illinois e nel Michigan, per non parlare del Texas, della South Carolina e della Luisiana. La sola perdita dei primi due di questi stati sarebbe stata sufficiente per la sconfitta. Tuttavia in almeno 193 contee meno del 15 per cento dei neri che ne avevano il diritto poteva iscriversi nei registri elettorali; nel Mississippi in 74 delle 82 contee succedeva la stessa cosa; sui registri elettorali di ben 13 contee del sud non era iscritto nemmeno un nero.

Scrive Arthur Schlesinger, amico di Kennedy e stretto collaboratore:

«Kennedy, battendo un pugno sulla scrivania, rispose con veemenza: “Voi dovete capire il tipo di problemi a cui mi trovo di fronte”. […] Senza dubbio egli voleva tenere sotto controllo il movimento dei diritti civili, movimento che, se stimolato, avrebbe potuto sfuggirgli di mano […].

Kennedy sperava che un forte e dichiarato impegno presidenziale nei confronti dei diritti civili, accompagnato dalla designazione di gente di colore a incarichi governativi e da una vigorosa azione della Casa Bianca e del ministero della Giustizia [a capo del quale sedeva il fratello] in difesa dei diritti dei negri, avrebbero comunque mosso le acque abbastanza perché egli potesse conservare la fiducia della comunità negra.»

Kennedy se voleva essere rieletto l’anno dopo aveva assolutamente bisogno dell’appoggio dei neri, del loro voto.

Quella del 7 marzo 1965 non fu però l’unica marcia su Montgomery tentata dai neri. Nella primavera del 1961 James Farmer e il CORE (Congress of Racial Equality) organizzarono gruppi di “viaggiatori della libertà” che sfidassero la segregazione nelle stazioni terminali delle autolinee interstatali, nei ristoranti e nelle sale d’attesa. Subirono gravi violenze e ad Anniston (Alabama) uno degli autobus fu incendiato e i passeggeri furono picchiati da una folla di bianchi, e a Birmingham il gruppo fu attaccato e percosso nuovamente. Il 20 maggio, quando un gruppo di dimostranti arrivò a Montgomery, una folla di un migliaio di persone l’accolse con bastoni e pezzi di tubo. Numerosi di questi “viaggiatori” e altri neri del posto furono pestati.

Non va dimenticato, per inquadrare gli avvenimenti di quell’epoca, che l’amministrazione Kennedy era formata da un’alleanza tra democratici liberali del nord e democratici razzisti del sud. Dopo il Civil Rights Act del 1964 e il Voting Rights Act dell’anno dopo, firmati dal presidente Lyndon B. Johnson, e un certo numero di riforme, tra cui Medicare e altri programmi anti-povertà, che ponevano rimedio a una situazione insostenibile e socialmente esplosiva, la strategia dell’élite bianca cominciò a cambiare, puntando decisa verso l’integrazione e la cooptazione di una piccola minoranza della popolazione afro-americana in posizioni di potere e di privilegio.

Lo stesso Nixon, il tanto famigerato “Nixon boia” come si ricorderà, nel 1968 ebbe a lanciare un programma di “capitalismo nero”, e nel 1969 a costituire l’Office of Minority Business Enterprise. Il suo obiettivo, dichiarava, era quello di “dimostrare che neri, messicani americani, e altri possono partecipare ad un’economia in crescita sulla base delle pari opportunità e raggiungere i vertici della scala sociale, partendo dai gradini più bassi”.

L’affirmative action, promossa dal Nixon, repubblicano, e poi adottata come elemento centrale del programma del Partito democratico, aveva lo scopo di promuovere nel mondo degli affari, in quello militare, dei media e dello spettacolo, del governo locale, della polizia e del mondo accademico, uno strato privilegiato di popolazione non bianca che identificandosi con il capitalismo americano facilitasse la divisione nelle classi subalterne e favorisse la pace sociale con l’eliminazione, anche fisica, delle frange antagoniste. Ecco dunque come il movimento per i diritti civili è diventato un mezzo ideologico per la ristrutturazione del dominio di classe, sulla base delle politiche identitarie.

(*) I mille giorni di JFK alla Casa Bianca, Rizzoli, 1973.



3 commenti:

  1. Poniamo che diciottobrumaio venisse letto da centinaia di migliaia di lettori tutti i giorni, non oso pensare alle conseguenze politiche che avremmo in italia.

    Grazie Olympe, Franco.

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    1. grazie a te Franco.
      per prima cosa è impossibile che i temi trattati in questo blog, e soprattutto per come vengono svolti, possano avere un largo interesse. oltretutto i miei post sono troppo lunghi, a volte raggiungono le due cartelle. decisamente troppo per l'agonismo del lettore medio. e poi, vogliamo ancora illuderci che qualcosa possa cambiare sulla base delle semplici parole? ciao

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    2. Cambiare sulla base delle semplici parole no (non sono così ingenuo), ma avere un quadro della situazione diverso, un punto di vista diverso da quello che ci imboccano da mane a sera i media mainstream, bè, questo farebbe già un'enorme differenza, non credi?

      Buona giornata da, Franco.

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