martedì 31 marzo 2015

Ridendo


Se ci trovassimo sulla cima di una rupe e dovessimo decidere chi tra Berlusconi e Renzi buttare di sotto, ebbene per quanto mi riguarda butterei di sotto Landini, nonostante sia un uomo per il quale è facile provare naturale e istintiva simpatia. Tuttavia qui le questioni personali devono lasciare il posto alle valutazioni politiche. Insomma, ad ognuno il suo.

Quello che rimprovero a questi esponenti della sinistra, ovviamente per ciò che conta il mio giudizio, è il fatto di non parlare chiaro: nel non voler dire esplicitamente che la riforma sociale trova i suoi limiti oggettivi nell’organizzazione di classe che il capitale esercita sul processo produttivo capitalistico informandone i rapporti sociali.

Se da sempre è negli interessi del capitale che la riforma sociale trova i suoi limiti naturali, ciò è tanto più vero in una fase che ha mutato radicalmente non solo la bilancia dei rapporti di forza tra le classi, ma il terreno stesso dello scontro, basti citare la crisi della rappresentanza politica e il peso spesso irrilevante dei singoli parlamenti e governi nazionali.

Il modello sociale cui guarda Landini e altri dei dintorni, con i richiami alla concertazione tra le cosiddette parti sociali, alle regole di tutela, di controllo statale, eccetera, è un modello di relazioni superato dalla logica delle cose. Il liberismo, prima ancora di essere un’ideologia fatta propria da un’accolta di reazionari, è espressione di quel processo che chiamiamo globalizzazione.



Sembra si voglia ignorare che quanto più si sviluppa il monopolio capitalistico e l’aspetto della finanziarizzazione dell’economia, tanto più la proprietà privata capitalistica si rende autonoma dal processo produttivo, e in tal modo anche la ricchezza si trasforma sempre più da diritto sul prodotto a diritto di appropriazione astratto (*).

La conseguenza di tale stato di cose sul piano dei rapporti tra capitale e lavoro mi sembra evidente e ben nota a tutti, senza che richiami qui gli esempi della FCA, della Pirelli e di numerose altre realtà. Ben evidente e note sono anche le conseguenze sul piano fiscale e dunque sulla spesa pubblica.  

Ciò è conseguenza diretta del modo di produzione capitalistico. Nel suo sviluppo si accrescono e acuiscono, anziché diminuire e attenuarsi, tutte le conseguenze che delle sue contraddizioni gli sono indissolubilmente proprie.

Si è rinunciato a cogliere le contraddizioni dei processi, puntando alla conservazione (e neanche più al miglioramento!) della situazione del proletariato e alla sopravvivenza del ceto medio impiegatizio e dei servizi, rendendosi peraltro conto di essere impotenti ma non prendendo atto che la ricerca di soluzioni non sta nel tentativo di smussare le punte più acute di tali contraddizioni.

Landini è rimasto ai paragoni, pur se motivati, ossia che Renzi è peggio di Berlusconi. In via di principio sono due facce di culo della stessa medaglia, e però Landini ha ragione: Renzi è peggio di Berlusconi, e n’è prova il fatto che quest’ultimo è stato fatto fuori non per gli scandali sessuali (questo possono crederlo gli ingenui), ma perché si era mostrato troppo tiepido nelle “riforme” che altri gli “suggerivano”.

E tuttavia questo modo di argomentare, pur lecito nella polemica politica spicciola, nasconde il nocciolo delle questioni, ossia che nella situazione c’entri qualcosa il capitalismo, parola di cui c’è timore solo ad evocarla, per non finire nell’elenco dei cattivi. Gli viene preferito il più neutro “mercato”.

Da quando ha rinunciato alla lotta di classe e ai propri ideali per abbracciare quelli della borghesia; da quando s’è sbarazzata con nonchalance del patrimonio teorico del marxismo per arrampicarsi al carro del capitale trionfante, la sinistra italiana è morta. Sull’epoca del decesso propongo una data antica e che va ben più indietro delle esequie del Pci.

E dunque Landini cosa propone di costituire, quale soggetto politico alternativo? Imbarcando i vendoliani, i civattiani, i donciotteschi, e via delirando? Gente che al massimo può esprimersi per un blando anticapitalismo di maniera, quando non è impegnata a “governare” o a contare i soldi dei contributi statali. Mussolini e Hitler si dichiaravano anch’essi anticapitalisti, come del resto Casa Pound oggi. E pure non pochi grillini sono decisamente a favore della rivoluzione. E tuttavia anche nei discorsi di Kennedy raramente mancava la parola “rivoluzione”.

Fossi in Landini non insisterei troppo nemmeno con le volgarizzazioni di certi concetti, cari alla precettistica dell’audience televisiva, ossia non trasferirei la questione sociale dal campo dei rapporti di produzione al campo dei rapporti di ricchezza, dal rapporto tra capitale e lavoro al rapporto tra ricchi e poveri. E però in tal caso, mi rendo conto, gli verrebbe meno l’appoggio con cui sollecita le plebi all’indignazione, come del resto di tanto in tanto faccio anch’io nel blog.

Sentissi Landini pronunciare dei semplici concetti: posta l’illimitata capacità di espansione del capitalismo e i limiti ristretti del mercato di smercio, questo fenomeno ci dice che la crisi è organica al capitalismo. Inoltre, lo sviluppo della produttività del lavoro invece di creare nuovo benessere crea disoccupazione e con essa povertà. Ancora: qualunque misura di riforma si rivelerebbe inutile o palliativa, poiché il capitalismo è entrato nella sua fase di crisi storica generale. Il socialismo, nella prospettiva del comunismo, vagheggiato per secoli come un ideale, è diventato una necessità storica.

Ebbene, in tal caso, al Landini all'ultimo istante lo tratterrei per un braccio e non lo lascerei cadere dalla rupe. Pur con il rischio, acchiappandolo al volo, di precipitare con lui. Ridendo.



(*) In altri termini, fino a quando il capitalista in persona dirigeva la fabbrica, la ripartizione si ricollegava ancora, fino a un certo punto, a una partecipazione personale al processo di produzione. Questa figura del capitalista tradizionale è divenuta superflua e superata, per cui la direzione è affidata a un management salariato e/o compartecipe dell’azionario, di modo che sia la titolarità della proprietà e sia la partecipazione e ripartizione dei profitti assumono la forma più pura e indiretta.

4 commenti:

  1. La domanda è: Landini vorrebbe dire quelle parole ma non può, perché quelle parole non possono essere pubblicamente dette se si vuole sperare di ottenere un qualche consenso politico superiore allo zero virgola? Oppure quelle parole non fanno nemmeno parte del suo bagaglio ideale? Non riesco ancora a darmi una risposta. Che non abbia letto Marx (come Piketty, meno scusabile di Landini) penso lo abbia detto lui stesso, ma è irrilevante: nella sinistra politica anche i pochi che lo hanno letto sono finiti come sono finiti.

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  2. Leggo infatti,che Renzi ha definito Landini e Salvini ,due soprammobili ,alla pari ,presumo.
    Mi viene persino il dubbio che Renzi ,abbia letto Marx e Lenin in merito agli sviluppi dell'imperialismo globale.

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  3. " quanto più si sviluppa il monopolio capitalistico e l’aspetto della finanziarizzazione dell’economia, tanto più la proprietà privata capitalistica si rende autonoma dal processo produttivo, e in tal modo anche la ricchezza si trasforma sempre più da diritto sul prodotto a diritto di appropriazione astratto "

    ormai il latifondismo capitalista (se mi passi il neologismo) è realtà. La borghesia, che in passato giustificava il suo ruolo sociale attrverso il concetto di merito, rischio d'impresa, ecc ecc, ormai è diventata una vera e proprio nobiltà contemporanea. Il denaro e il potere sono un diritto di nascita, che consente un controllo totale sulla vita del resto del mondo.

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