domenica 23 novembre 2014

Una società di videogiochi


Guardandoci intorno, il nostro mondo è sempre più virtuale e interconnesso ma è anche sempre meno reale e i legami tra le persone più labili e instabili. Un mondo dove dietro al virtuale non c’è nulla. Sempre più parte degli affetti, delle amicizie, del divertimento, e finanche della sessualità, appartengono al mondo del virtuale. Perfino il denaro è sempre più un oggetto astratto sebbene la sua potenza sia concretamente concentrata in poche mani. Insomma, una società di videogiochi dove i rapporti sociali non esistono quasi più se non in forme surrogate.



Non solo non crediamo più nel futuro, ma abbiamo una gran sfiducia del presente. Su Sky c’è un canale che presenta solo film di un genere che un tempo si chiamava fantascienza, ma ora questo genere cinematografico e anche letterario è stato sostituito da film e da romanzi che raccontano solo catastrofi: non più visioni utopiche del futuro, ma storie di distruzioni, violenze e tecnologie impazzite. Domandiamoci perché.

È la società stessa ad assumere un carattere antisociale. La politica ne è lo specchio: impazzita, uno show continuato, dove si fatica a credere vi siano al governo, qui come altrove, delle persone passabilmente oneste e non dei broker di mutui subprime. Al posto della classe politica del passato ora abbiamo dei banchieri a dire cosa fare e degli analfabeti ad eseguire. Una classe dirigente che non solo non riesce a fornire risposte, ma che non è nemmeno in grado di comprendere i processi in atto. Dei comici che per raccattare qualche voto delirano che “in Calabria si gioca il futuro del paese”, e ciò dopo che gli asset strategici del paese sono stati (s)venduti ai grandi gruppi multinazionali, tra l’altro relegando lavoratori, sindacati e piccoli azionisti al ruolo di spettatori.

Non è vero, come sostiene Ernesto Galli, che “la democrazia si è trovata davanti un ospite inatteso: la povertà in crescita”. Non solo l’ospite non era inatteso, ma è stato annunciato con largo anticipo, prefigurato in dettaglio negli accordi internazionali che si andavano firmando. Nel suo odierno editoriale Eugenio Scalfari, con una falsità vomitevole, si chiede che cos’è la povertà, laddove dovrebbe anzitutto spiegare ai suoi lettori perché a vincere sono sempre gli stessi e la platea dei perdenti si allarga sempre più.

Per quale motivo, per fare un solo esempio, dobbiamo acquistare il nostro cibo in altri paesi e continenti quando lo possiamo produrre qui?  Il neoliberismo è incapace di una seria riflessione, vincolato al monopolio privato, sospinto dai grandi interessi in gioco; e gli altri, i riformisti, gli “europei di sinistra”, pensano si tratti solo di gestire l’esistente, di spendere più denaro in questa o quella direzione, come se bastasse una botta di neokeynesismo fuori stagione e trovare così risposte a una crisi e a un declino inesorabili.

A questo punto c’è sempre la domandina sul che fare, ma ognuno cerca e vuole sentirsi dire la “sua” risposta poiché tutte le altre non riescono a persuaderlo. E con ragione. E tuttavia più che risposte, mi ripeto, dobbiamo porci le domande giuste.


2 commenti:

  1. Viaggiando in metropolitana, quando non c'è ressa ed è possibile avere una panoramica dei passeggeri seduti, ecco che ti appaiono tante persone di svariate vesti e colori di pelle nella stessa posa, a stampo. Con o senza cuffie, tutte, meno rarissime eccezioni, con lo sguardo sullo smartphone. Bè, si può pensare, sono connesse con il mondo. Sì, ma anche sempre più sconnesse dalla realtà ambientale, dal loro qui ed ora. A qualsiasi affermazione su fenomeni complessi come questo, per necessità di metodo in mancanza di dati sistematici, c'è da aggiungere: forse. Ma basti pensare a quello che accade quando si sta alla guida e contemporaneamente si telefona: è impossibile mantenere una piena vigilanza, si va di pilota automatico, il quale funziona in condizioni normali ma può avere nelle emergenze quella frazione di secondo di ritardo decisiva per un incidente, e dare alla guida quell'andare per cui se stai dietro ti chiedi se quello che hai davanti sia un incerto e imprevedibile principiante, o qualcuno che ha una sbronza.
    Porsi le giuste domande, proponi. Metti il caso che, in una sufficiente capacità di consapevolezza, noi fossimo convinti di porci le giuste domande, anzi: di essercele già poste, almeno alcune fondamentali, ed essere arrivati a delle risposte. Metti che le risposte trovate implichino il passaggio all'azione. Allora non resta che passare all'azione. Ma, nelle risposte, nel passaggio all'azione c'è anche quella di cercare di stimolare altre persone a formarsi una consapevolezza sulle proprie reali condizioni di vita, cioè a porsi le giuste domande: nelle risposte sarebbe allora inclusa la certezza che l'azione per essere efficace deve essere, se non di tutti, del maggior numero possibile di quelli che condividono lo stesso disagio.
    Ciò per dire che non capisco quel commento che ti invitava a passare all'azione come se quella di questo tuo blog non lo fosse. Che altro si può fare, con questo mezzo? Mettersi davanti la fotografia di qualcuno e sputare sul monitor? Se poi il suggerimento fosse quello di non stare giorno e notte qui davanti dimenticando la strada e la gente in carne ed ossa che vi cammina, allora deve essere la critica di uno che scrive parlando o giocando contemporaneamente col cellulare.

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  2. Avevo sperato in un 75% di astensionismo in Emilia Romagna. Siamo arrivati al 63%. Bicchiere mezzo vuoto: i pensionati acefali, la massa di manovra del regime, non si schiodano dalle urne. Mezzo pieno: un 63% nella Regione del voto a prescindere non è male. Ma ci sono ampi margini di miglioramento.

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