giovedì 24 aprile 2014

Il 25 aprile di una nuova umanità


A Parigi, all’epoca di Louis le Dernier, lavoravano 1.200 parruccai con circa 6.000 aiutanti e altri 2.000 addetti facevano a domicilio lo stesso lavoro. La rivoluzione spazzò via le parrucche, riconvertì tutta questa gente dapprima in disoccupati e sanculotti, poi in soldati e operai. In buona sostanza la loro condizione non mutò.

Mai, finora, in tutte le trasformazioni avvenute nei modi di produzione precedenti è stato mutato il tipo di attività, e invece ci si è limitati a sostituire una forma di proprietà con un’altra, una forma di sfruttamento a un’altra.



C’è da chiedersi se questo fissarsi dell'attività sociale in un potere obiettivo e coercitivo che ci sovrasta, che contraddice le nostre aspettative e annienta i nostri calcoli, non sia determinato dal gioco stesso della vita collettiva, oppure se sia invece possibile una modulazione diversa dei rapporti sociali e delle forme dell’attività concreta, se insomma il lavoro possa essere qualcosa di diverso del dovere e del sacrificio, qualcosa di nuovo rispetto alla più gretta subordinazione al bisogno, e ciò senza vagheggiare ritorni ai germani di Tacito oppure gli indigeni d’America raccontati da Lewis H. Morgan, senza vaneggiare nostalgie reazionarie del medioevo e di “decrescita felice”.

Non esisterà mai la società perfetta, priva di contraddizioni e di conflitto e tuttavia la più fondamentale causa di conflitto sociale riguarda – e ciò è indiscutibile – i rapporti di proprietà. In una società divisa tra padroni e schiavi, in cui domina da un lato il bisogno degli sfruttati di trovarsi un padrone e dall’altro l’interesse dei padroni a mantenere le cose come sono, è inevitabile che qualsiasi mutamento sociale possa operare solo nel senso di una nuova distribuzione dello stesso tipo di attività, impedendo la possibilità di trasformazione cosciente della materia sociale, della produzione e distribuzione, dell’organizzazione in generale secondo scopi predefiniti.

E però, come hanno dimostrato l’esperienza sovietica e poi quella maoista, la trasformazione dei rapporti di proprietà di per sé non è sufficiente perché si realizzi una metamorfosi rivoluzionaria dell’organizzazione della produzione e dei rapporti sociali. Bisogna tener conto del grado di sviluppo economico raggiunto, e dunque di altre determinazioni dei rapporti di produzione quali le relazioni tra gli uomini nello scambio e il modo di ripartizione del prodotto. In altri termini, non si possono fare le nozze con i fichi secchi.

Una produzione che poggi sulla mera sussistenza, oppure una produzione volta per cause storiche contingenti ad obiettivi diversi dalla riduzione a un minimo del lavoro necessario della società (dunque la creazione di tempo disponibile per l’individuo e per l’intera società, come misura della ricchezza, a cui poi corrisponde il libero sviluppo delle individualità nella formazione scientifica, artistica ecc. grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti), non è matura per quel salto di qualità necessario a trasformare l’organizzazione sociale in senso propriamente comunista.

Il modo di produzione capitalistico ha posto per primo la scienza al servizio immediato del processo di produzione. In tal modo ha reso possibile la grande industria e una produzione di merci e servizi inimmaginabili in passato. L’impiego di macchine sempre più complesse e perfezionate ha ridotto il tempo di lavoro nel quale si può produrre la stessa merce, in tal modo diminuendo il valore della merce e rendendo il lavoro più produttivo. E però questo fatto d’importanza storica decisiva contiene in sé delle contraddizioni di non poco conto che riguardano rispettivamente la svalutazione del lavoro (*), la crisi (**) e la disoccupazione (***).

Il capitale si pone in completa contrapposizione con il lavoro salariato, in quanto il capitale tende a svalutare la forza-lavoro viva (in tal modo aumentando la quota di plusvalore) e a trasformare quest’ultima in superflua, sia in determinati processi produttivi sia riducendola al minor numero possibile. Ecco che noi vediamo moltissimi uomini e donne delle nuove generazioni, e anche della più anziana, considerati come uomini e donne superflui.

È sempre accaduto nella storia del capitalismo, ma ciò che risulta nuovo è la vastità e profondità di questo processo che segna la sua crisi storica manifestandosi su scala mondiale e in relazione a tutte le figure del lavoro, non solo di quello salariato.

Il modo di produzione capitalistico non ha alcun interesse diretto allo sviluppo sociale se non in vista del profitto. Per sua natura è antagonista della riduzione del tempo di lavoro al solo lavoro socialmente necessario, così come non ha alcun interesse (al contrario!) a superare la polarizzazione estrema del sapere e dell’eseguire.

Liberando se stessi dalla schiavitù del lavoro capitalistico è possibile promuovere, sulla base delle possibilità raggiunte dalla scienze e dalla tecnologia, un modo di produzione e consumo diverso, un’organizzazione sociale nuova, una nuova umanità.


(*) Il ribasso delle merci è pari alla relativa svalutazione della forza-lavoro.

(**) La macchina riduce il numero di operai occupati da un dato capitale, perciò essa da un lato eleva il tasso di plusvalore, dall’altro ne diminuisce la massa, in quanto riduce il numero di operai occupati contemporaneamente da un dato capitale.


(***) La produzione capitalistica, con lo sviluppo dell’automazione e dell’organizzazione tecnica, non comporta una riduzione della giornata lavorativa, riduzione inconciliabile con gli scopi della produzione di plusvalore, ma riduce il numero degli operai, in quanto superflui per la produzione di pluslavoro e non in quanto superflui in un modo di produzione avente scopi diversi da quelli capitalistici.

5 commenti:

  1. Probabilmente c'era più democrazia in un villaggio dei Germani di Tacito che in tutto il mondo "libero" di oggi. Poi, certo, avevano altri problemi. Uno però no: non avevano televisioni e giornali di regime.

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  2. Televisioni e giornali di regime.
    Infatti uno degli elementi decisivi di oggi forse più di ieri è l'informazione. Prima dell'astensione al voto che è episodica, più drastica e continuativa è l'eliminazione totale di giornali e TV. La scelta alternativa telematica è infinita e sta alla nostra preparazione operare scelte di attendibilità (che non devono essere necessariamente faziose). Rimane un semplice quesito: quanti lettori p.e.seguono questa rubrica (o altre del tipo) rispetto a quelli di Repubblica o Corrierone. Sono quest'ultimi da informare o se del caso convincere. L'obbiettivo sono i numeri non le elite.

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  3. A proposito di blog,mi viene in mente una domanda da 25 Aprile. A rivoluzione conclusa -quando sarà- cosa gli faremo fare per esempio ai vari malvino e a molti altri snob della categoria ?
    Mao Ze Dong non mi è mai stato simpaticissimo ma l'idea della didattica della terra o della fabbrica sarebbe da riprendere.
    Speriamo davvero in una nuova organizzazione sociale.

    Carlo Z.

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  4. E' nel NEOLITICO che si instaurano nuovi rapporti sociali, che porteranno alle specializzazioni produttive, alla divisione in Classi ed alla nascita delle disuguaglianze. POTERE e DENARO. Come uscirne? Finora con la Guerra.
    I segnali ci sono tutti, Siria, Ucraina, Senkaku, spese militari 1.756 miliardi di $, 725 basi USA in giro per il mondo.
    Dalla relAzione che sto andando a fare ad un Cineforum dove proietteremo le QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI.
    Adieu Madame, speriamo bene.

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  5. Hai centrato perfettamente il problema.
    Sfortunatamente pero' non se e' ancora trovata la soluzione perche' paradossalmente non interessa a nessuno . Ovviamente appunto non al " capitalista" ma direi non meno al "salariato" ,che e' si un " povero" , ma purtroppo soprattutto lo e' di " spirito".

    Infatti la spiacevole verita' che emerge dalla storia e ' che salvo belle e lodevoli eccezioni " le elite" ( e anche quelle che avranno " studiato marx ":-)) coglieranno sempre il proprio vantaggio a dominare attraverso il controllo dei " mezzi " . sia di" produzione" che di " formazione " e di " coercizione" , e" le masse" saranno sempre sostanzialmente " irredimibili" dal loro stato psicologico di " servaggio".
    ws

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