domenica 1 dicembre 2013

L'errore di Marx



Lo sciocchezzaio trasmesso in queste ore a riguardo dei signori delle “primarie” è solo uno dei sintomi della piena disgregazione economica, morale e intellettuale di un paese che non può permettersi troppo spesso, senza gravissime conseguenze, le stesse stupidaggini. E che tuttavia …..

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Su altri versanti c’è da segnalare l’ormai consueto tentativo, che ben alimenta la situazione di disgregazione anzidetta, di screditare Marx, le cui convinzioni sarebbero basate “su alcuni presupposti risultati errati in radice, pur se sarebbe stupido [e ci mancherebbe] buttare a mare la sua opera (scientifica e non meramente ideologica) che ha ancor oggi alcuni punti di forza”, anche se tuttavia egli è “superato per una serie d’ipotesi riguardanti la dinamica del modo di produzione capitalistico”, che è come dire che Marx non ha ben compreso la chiave del fenomeno storico-sociale capitalistico poiché riteneva che esso fosse l’espressione ultima della società divisa in classi irriducibilmente antagonistiche.

Dunque, giusta l’analisi delle leggi e contraddizioni che fanno capo al modo di produzione capitalistico, errata la prospettiva storico-sociale che vede proprio le contraddizioni in sviluppo del capitalismo creare le premesse per il suo superamento. E ciò sarebbe confermato dal fatto che finora il capitalismo tiene botta.  L'accusa precisa è questa:

«la dinamica capitalistica non condusse, secondo quanto supposto da Marx, ad una proprietà puramente assenteista (non più in possesso delle capacità direttive della produzione), da una parte, e al lavoratore collettivo (od operaio combinato, “dall’ingegnere all’ultimo manovale”), al polo opposto e antagonista del “quasi signore”, quale si credeva fosse divenuto il capitalista».

Mi pongo alcune domande (retoriche).

È necessario dimostrare di nuovo che il rapporto fra capitale e lavoro salariato determina tutto il carattere del modo di produzione e dunque che i principali agenti di questo modo di produzione stesso, il capitalista e il lavoratore salariato, sono in quanto tali, semplicemente incarnazioni, personificazioni del capitale e del lavoro salariato, sono caratteri sociali determinati, che il processo di produzione sociale imprime agli individui, in definitiva che essi sono prodotti di questi determinati rapporti sociali di produzione? Certo che no.

Inoltre, è ancora necessario ribadire che l’esistenza di merci ed ancora di più di merci in quanto prodotto di capitale, implica l’oggettivazione delle determinazioni sociali della produzione e la soggettivazione dei fondamenti materiali della produzione, che caratterizzano l’intero modo di produzione capitalistico, tanto che l’autorità assunta dal capitalista in quanto personificazione del capitale nel diretto processo di produzione, la funzione sociale che egli riveste nella sua qualità di dirigente e di dominatore della produzione, è sostanzialmente diversa dall’autorità avente come base la produzione con schiavi, servi della gleba, ecc.? Superfluo rispondere.

In definitiva, se si dà per pacifico tutto quanto premesso, non è necessario insistere sul fatto acquisito che le caratteristiche sociali delle condizioni della produzione e i determinati rapporti sociali fra gli agenti della produzione sono conseguenza di un rapporto di produzione storicamente determinato e che però non significa statico, tanto più a motivo che il capitale si fonda per se stesso su un modo di produzione sociale e presuppone una concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro; così come ormai diamo per scontato che le società per azioni e il monopolio hanno di fatto e tendenzialmente trasformato il capitalista realmente operante in semplice dirigente, amministratore del capitale altrui, e i proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari (*).

Scrive Marx a tale riguardo:

«Nelle società per azioni la funzione è separata dalla proprietà del capitale e per conseguenza anche il lavoro è completamente separato dalla proprietà dei mezzi di produzione e dal plusvalore. Questo risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica è un momento necessario di transizione per la ri-trasformazione del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata di singoli produttori, ma come proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei produttori associati, in funzioni sociali» (III, cap. 27).

Le multinazionali che regolano la produzione d’interi settori merceologici, sotto un’unica direzione tecnica e commerciale, non rappresentano forse una forma di socializzazione della produzione all’ennesima potenza? Dunque la tendenza storica della produzione capitalistica genera essa stessa la propria negazione, essa stessa crea gli elementi di un nuovo ordine economico; dando al tempo stesso il più grande impulso alle forze produttive del lavoro sociale, la proprietà capitalistica, già basata di fatto su un modo di produzione collettivo, non può trasformarsi che in proprietà sociale.

Scrive Marx: «Questo significa la soppressione del modo di produzione capitalistico, nell’ambito dello stesso modo di produzione capitalistico, quindi è una contraddizione che si distrugge da se stessa, che prima facie si presenta come semplice momento di transizione verso una nuova forma di produzione. Essa si presenta poi come tale anche all’apparenza. […] Ricostituisce una nuova aristocrazia finanziaria, una nuova categoria di parassiti nella forma di escogitatori di progetti, di fondatori e di direttori che sono tali semplicemente di nome; tutto un sistema di frodi e di imbrogli che ha per oggetto la fondazione di società, l’emissione e il commercio di azioni. È produzione privata senza il controllo della proprietà privata».

Non si vuole vedere, tra l’altro, nella crisi generale del modo di produzione capitalistico che ci sta sotto gli occhi, come abbia guadagnato in ampiezza e in profondità la contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la forma storica determinata dei rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori dall’altro. Non si vuol vedere dunque la forza del conflitto in atto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale. Eppure essa è percepibile ormai anche al senso comune.

Sarebbe dunque questo l’errore di Marx, l’aver estrapolato dalle leggi generali del divenire del suo oggetto (il modo di produzione capitalistico), le tendenze, ossia l’aver simulato concettualmente secondo il metodo dialettico (genesi, sviluppo, crisi) il movimento intrinsecamente contraddittorio di tali tendenze per carpire al futuro la loro forma divenuta. In altri termini, fatti salvi i risultati della sua esplorazione analitica, fissati nella modellizzazione del modo di produzione capitalistico, sono invece rigettati come errati quando ritornano come previsione teorica (la quale ovviamente come tendenza indica un possibile, dipendendo il suo completarsi dall’azione e dall’esito della lotta di classe e dunque dall’attività conforme al conseguimento degli scopi).

A quale scopo sono ritenute errate le previsioni marxiane dagli ideologi borghesi? Quello di negare ogni possibilità di trasformazione cosciente della materia sociale, della produzione e distribuzione, dell’organizzazione in generale secondo scopi predefiniti, in definitiva di dimostrare l’inutilità della lotta di classe quale motore di trasformazione sociale. Essi vogliono mostrare come, per contro, siano le élite a svolgere un ruolo storicamente fondamentale negli avvenimenti. Credendo in tal modo di aver trovato facilmente la chiave d’interpretazione del fenomeno storico, essi ritengono che essa possa funzionare come chiave universale adatta a tutte le epoche storiche. In buona sostanza si tratta di una teoria storico-filosofica generale la cui virtù suprema consiste nell’essere sovrastorica.

(*) Scrivevo nel post del 24 novembre scorso: la scienza borghese identifica la proprietà giuridica dei mezzi di produzione con la proprietà economica, ossia con il possesso, laddove la prima determinazione è solo una delle possibili determinazioni della seconda, non necessariamente esclusiva.


(**) Dal punto di vista economico e a riguardo delle società per azioni, Marx svolge subito dopo un’importante osservazione: «poiché il profitto si presenta qui esclusivamente sotto forma d’interesse, tali imprese sono possibili anche quando esse dànno il puro e semplice interesse, e questa è una delle cause che si oppongono alla caduta del saggio generale del profitto, poiché queste imprese in cui il capitale costante è in proporzioni così enormi rispetto al capitale variabile, non incidono necessariamente sul livellamento del saggio generale del profitto».

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