venerdì 8 marzo 2013

Una rivoluzionaria contro i fanatismi



Di seguito due articoli di Elena Caruso, apparsi su il manifesto di ieri, dedicati alla figura della rivoluzionaria francese Olympe de Gouges. Per chi avesse qualche interesse per altre curiosità a riguardo di Olympe, qui.

A Place de la Concorde, già Place de la Revolution, a colpi di ghigliottina, si pone fine all'Assolutismo. Le teste decapitate, con le quali simbolicamente si sigilla la fine di un'epoca e l'inizio (tormentato) di un'altra, sono quelle di Luigi XVI e della moglie Maria Antonietta: protagonisti del jet set dell'epoca e dei salotti della Storia, quella ufficiale con la "S" maiuscola. Maria Antonietta, in particolare, più del marito Luigi, è una vera e propria icona glamour (basti pensare allo splendido film di Sofia Coppola). Famosa al punto che le si è attribuita una frase da lei mai pronunciata «Che mangino brioche». Com'è stato chiarito, Maria Antonietta aveva ben altro a cui pensare (un Versailles Party?) e, nel suo orizzonte dorato, il popolo affamato non c'era proprio, con o senza brioche.

Ma la Storia sa essere ingiusta: se troppo è stato riferito di Maria Antonietta (parole non dette), nulla, o quasi, è toccato ad altre. Occorre, quindi, bussare alle porte della storia, quella con la "s" minuscola, meno trendy e neanche vintage (perché mai alla moda) ma tanto più interessante, per conoscere Olympe De Gouges. Anche lei, come la coeva Maria Antonietta, ghigliottinata a Place de la Concorde, ma la somiglianza finisce qui.

Olympe, vivace e illuminata come la Parigi rivoluzionaria di fine Settecento in cui vive da protagonista, interpreta a pieno lo spirito del suo tempo. Provinciale, è nata il 7 maggio 1748 a Montauban, nel sud della Francia, figlia illegittima (il padre biologico, marchese e poeta, è il patrigno della madre), ha una brillante intelligenza ma un'istruzione molto scarsa. Nella sua regione, inoltre, si parla l'occitano e il francese è una seconda lingua ma tutto questo non le impedirà di diventare una figura di rilievo. Giovanissima, viene data in sposa a un maturo ufficiale dal quale avrà un figlio, Pierre, e dopo pochi mesi resterà vedova. Nata come Maria Gouze, nobilita il patronimico in De Gouges, e sceglie di chiamarsi Olympe, nome della madre (un'embrionale richiesta di riconoscimento della maternità, oggi diremmo del doppio cognome?). Inizia una relazione con un funzionario di marina ma rifiuta di sposarlo, considerando il matrimonio «la tomba della fiducia e dell'amore». Si trasferisce a Parigi, dove inizia a frequentare i salotti della borghesia agiata e comincia a scrivere opere di teatro ancorate a questioni politiche e sociali della sua contemporaneità, come Riflessione sugli uomini negri contro la schiavitù. Ben presto Olympe è travolta dagli eventi, la Rivoluzione è ormai alle porte, e lei si schiera sempre più convintamente contro Rousseau e Marat. La sua fine è causata proprio da uno scritto, Le Tre urne, in cui propone un referendum tra le tre forme di governo: federalista, monarchica e repubblicana. Viene condannata, senza appello, alla ghigliottina il 3 novembre del 1793. Ecco la motivazione: «Olympe de Gouges, nata con un'immaginazione esaltata, ha scambiato il suo delirio per un'ispirazione della natura: ha voluto essere un Uomo di Stato. Ieri la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso».

Ma Olympe è soprattutto conosciuta per essere l'autrice, pochi anni dopo la più celebre Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino, della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, pubblicata nel 1791: un documento giuridico in cui afferma che alle donne debbano essere riconosciuti gli stessi diritti degli uomini. Scrive, infatti, nelle Conclusioni della Dichiarazione: «L'uomo schiavo ha moltiplicato le sue forze, ricorrendo alle tue per spezzare le catene. Una volta libero è diventato ingiusto verso la sua compagna: Oh donne!, donne!, quando la smetterete di essere cieche? Quali vantaggi avete tratto dalla rivoluzione?». Olympe si rende conto, per prima, dell'universalismo apparente professato dalla celebre Dichiarazione Universale del 1789 e dell'inganno della neutralità della parola «cittadino», che comprende solo il cittadino maschio, dal momento che alle donne, per esempio, non è riconosciuto il fondamentale diritto di voto.

E si ha il coraggio di chiamarlo suffragio universale ancora oggi nei libri di Storia!
Ammettiamolo, sembra quasi eccessivo pretendere che Olympe sia considerata degna di nota - anche se a piè di pagina! - dagli autori dei libri di storia, che continuano a ignorarla! Ma in vista dell'8 marzo, forse, sarà possibile ricordarla finalmente non solo per (legittima) sete di giustizia ma soprattutto perché Olympe è il punto di partenza di una riflessione che arriva fino ai nostri giorni. Se, a partire da lei, l'inganno dell'uguaglianza e dell'universalismo è stato ormai smascherato, (e sarebbe ora che tutti i libri di Storia con la maiuscola ne prendessero atto) s'impone oggi un ripensamento del contratto sociale. Un nuovo patto di cittadinanza, in cui tutte e tutti stiano a pieno titolo nella polis, fondato su una nuova uguaglianza delle e nelle differenze. Un nuovo contratto che si basi sulla pretesa del riconoscimento di una compiuta cittadinanza per gli uomini e per le donne. Uno Stato che riconosca, non solo formalmente, le donne come soggetti sui juris, lasciando definitivamente al passato lo Stato Tutore che dispone del corpo di donne ancora alieni juris.

Per questo la forza della lotta di Olympe, a fine Settecento, per uno Stato che riconoscesse le donne come cittadine, vola fino ai nostri giorni. Pensiamo all'ancora necessaria difesa della 194 dagli agguerriti movimenti per la vita, alla inevasa richiesta di applicazione e di rafforzamento della stessa legge (largamente inattuata per la sua intrinseca fragilità, vedi alto tasso di medici obiettori di coscienza), fino alla condanna della Legge 40 da parte anche dell'Unione Europea. Richieste, queste, di un riconoscimento pieno del diritto delle donne all'autodeterminazione. Della volontà di essere cittadine, sulla scia di Olympe, modernissima anche dopo più di due secoli. E anche se della decapitazione di Olympe, diversamente che per Maria Antonietta, non trovate cenni sulla vostra guida (fashion) di Parigi, quando siete a Place de la Concorde, pensate a entrambe, ma più intensamente ad Olympe.

* * *

La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe De Gouges è una vera pietra miliare per la storia del femminismo. Scritta nel 1791, consta di 17 articoli, come la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, che Olympe si prefigge di «continuare», specificando e declinando al femminile l'universalità (in realtà solo maschile) proclamata. Nonostante sia definita una «Contro» Dichiarazione, a mio parere, al contrario, prevale in essa un'ottica di completamento e complementarietà tra le due dichiarazioni.

In quella di Olympe, dopo la dedica a Maria Antonietta («La rivoluzione avrà luogo soltanto quando tutte le donne saranno compenetrate della loro deplorevole sorte e dei diritti che hanno perduto nella società. Sostenete, Signora, una così bella causa; difendete questo sesso sfortunato...»), segue il Preambolo, con il celebre incipit «Uomo, sai essere giusto? E' una donna che te lo domanda: non vorrai toglierle questo diritto. 
Dimmi, chi ti ha dato il sovrano potere di opprimere il mio sesso?». 
Olympe compie un parallelismo tra l'ordine naturale, in cui vige una cooperazione tra «i sessi nell'amministrazione della natura» «nell'insieme armonioso di questo capolavoro immortale» al quale contrappone «l'impero tirannico» dell'uomo che «nell'ignoranza più crassa, vuole comandare su un sesso che ha autonome facoltà intellettuali», quello delle donne.

Segue il corpus di diritti, in apertura scandito dal principio dell'uguaglianza: «La Donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell'uomo» (art.1); il rivoluzionario articolo 3 dichiara che «ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, che è l'unione della Donna e dell'Uomo», principio al quale si ricollega l'affermazione dell'articolo 10, secondo la quale «se la donna ha il diritto di salire sul patibolo, essa deve avere pure quello di salire sul podio». Un'espressione che ci scuote due volte: non solo infatti un terribile scherzo del destino ha voluto che Olympe salisse sul patibolo per la sua decapitazione, ma anche perché il messaggio di Olympe sulla partecipazione delle donne alla vita pubblica si arricchisce, acquistando nuova forza, in questo tempo di rivendicazioni delle quote rosa e del 50 e 50 .

Nelle «Conclusioni» il richiamo alla ragione: «Donna svegliati, la campana della ragione si fa sentire in tutto l'universo, riconosci i tuoi diritti. (...)» e infine un richiamo all'educazione delle donne «poiché in questo momento si parla di educazione nazionale, vediamo se i nostri saggi Legislatori penseranno rettamente sull'educazione delle donne». Un punto che la lega a Mary Wollstonecraft (genitrice poco glam della celebre Mary Shelley), che un anno dopo la Dichiarazione di Olympe, nel 1792, scrive la Rivendicazione dei Diritti della Donna, in cui pone significativamente al centro la questione dell'educazione delle donne, per lo sviluppo dell'intera nazione. Polemizzando con Rousseau, che nell'Emilio aveva teorizzato una forma di subalternità delle donne, il cui compito sarebbe «piacere agli uomini», Wollstonecraft afferma che la natura delle donne non è inferiore a quella degli uomini, e che l'immagine che le donne hanno di superficialità e di stupidità è la proiezione di una educazione che le induce a pensare solo al proprio aspetto fisico (quanto sono terribilmente attuali queste considerazioni!): «Istruite fin dall'infanzia che la bellezza è lo scettro della donna, il loro spirito prende la forma del loro corpo e viene chiuso in questo scrigno dorato, ed essa non fa che decorare la sua prigione». Quante donne, oggi, non vorrebbero che l'8 Marzo sancisse una reale applicazione delle modernissime richieste di Olympe?

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