sabato 2 marzo 2013

Nuvole



È vero che ci sono voluti seimila anni per passare dalla ruota all’invenzione del trolley, ma è altrettanto vero che sono bastati alcuni secoli per cambiare radicalmente il mondo come mai nel passato. Oggi siamo a un cambio d’epoca non meno decisivo di quello di un secolo fa. Pensiamo solo al ruolo di Internet, una rivoluzione che è appena cominciata e che promette ben altro. Si tratta di modificazioni di tale portata da determinare l’irruzione delle regole della geopolitica in Internet per innalzare frontiere.

Che cosa sappiamo comunemente di Internet? Si sente anche dire spesso di dematerializzazione per descrivere la separazione tra supporti fisici e contenuti, ma si tratta solo di una delle tante illusioni. I nostri file, foto e video sono duplicati su un disco rigido da qualche parte. Per esempio, nessuno di noi può dire in quale luogo siano immagazzinate le parole che state leggendo, senza contare che sono i proprietari del software a dominare sugli utenti, a utilizzare i nostri dati che affidiamo loro per scopi commerciali vendendoli ad altre società. E tuttavia anche questo mondo di dischi rigidi è in via di trasformazione, almeno in parte, minacciato dalla cosiddetta cloud computing, che per quanto riguarda la privacy promette anche di peggio.

Siamo dunque abituati a considerare Internet come qualcosa di perso nell’etere, in definitiva d’immateriale. Almeno è questo che molto interessatamente taluni vorrebbero portarci a credere. E invece – come rileva il NYT – «la realtà fisica di Internet è ben distante dalla narrazione mitologica, quella per cui si vive in un mondo virtuale e ogni sorta di memoria è stoccata nelle nuvole». Un altro mito da sfatare riguarda la pluralità dell’informazione se si tiene conto che il traffico Internet è attribuibile al massimo all’uno per cento dei siti e oltre il novata per cento dei libri venduti via Internet riguarda l’uno per cento degli autori.

Globalmente le connessioni a Internet in banda larga su rete fissa sono circa 600 milioni, quindi oltre un miliardo di connessioni su rete mobile (dati Itu del 2011). Oltre il 90% del traffico intercontinentale, voce e dati, transita attraverso la rete di cavi in fibra ottica posati sui fondali marini, per poi diramarsi attraverso le grandi dorsali terrestri e i ripetitori cellulari. Oggi l’intera rete sottomarina raggiunge il milione di chilometri, quasi trenta volte la circonferenza della terra. Ha richiesto l’equivalente di trentacinque anni di lavoro h24. Poche società, la giapponese NTT, l’inglese Global Marine, l’americana Tyco e France Télécom Marine, svolgono il lavoro necessario alla posa sui fondali marini dei cavi della rete, posizionando ogni 70 chilometri circa dei ripetitori di segnali, circa 15mila al costo di 1 milione di dollari l’uno.

L’architettura di Internet assomiglia a quella del trasporto aereo, un certo di numero di hub funziona da centri nodali; ne esistono diversi su scala globale, ma i principali sono situati negli snodi dell’economia e finanza mondiali. Per esempio, ad Ashburn, vicino a Washington, sorge un complesso di capannoni equivalenti a undici campi da calcio. Equinix, la società che lo gestisce, ha un centinaio di siti in giro per il globo. Il consumo di energia dei data center nel 2011 è stato di 265miliardi di kWh, pari a due volte il consumo annuale dell’industria italiana e quattro volte quello delle nostre famiglie. Il consumo elettrico mondiale è cresciuto del 36%, quello dei data center del 235%.

Interessante il fatto che nel dicembre scorso a Dubai si è tenuta la dodicesima conferenza sulle telecomunicazioni internazionali per stabilire accordi che dovrebbero facilitare le comunicazioni via cavo e via satellite. In tale occasione, i 193 Stati membri dell’International Telecommunication Union (un’organizzazione Onu) avrebbero dovuto demandare allo stesso Itu la responsabilità nella supervisione della rete informatica mondiale, sul modello del potere che essa esercita da decenni sulle altre forme di comunicazione mondiale. Sennonché gli Usa hanno risposto picche per quanto riguarda quella che è indicata come la governance mondiale di Internet. Con gli Usa si sono schierati fra gli altri la Germania, Francia, Giappone, UK, India.

Di là della propaganda che presenta questo scontro fra sostenitori di un Internet aperto e libero da un lato e adepti della censura dall’altro (si può intuire chi elevi la grande muraglia elettronica, oltre a Russia e Iran), la disputa che si è combattuta a Dubai riguarda in realtà interessi strategici ben definiti e contrapposti. Negli Usa, per esempio, scrive Le Monde diplomatique, «i centri d’ascolto dell’Agenzia di sicurezza nazionale [l’Nsa è il più vasto apparato d’intelligence del pianeta, ben più della famosa Cia o Fbi] sorvegliano l’insieme delle comunicazioni elettroniche che transitano attraverso i cavi e i satelliti americani. Il più grande centro di cybersorveglianza al mondo è attualmente in costruzione a Bluffdale, nel deserto dello Utah. Sono pertanto Facebook e Google – prosegue Diplo – ad aver trasformato il Web in una “macchina di sorveglianza” che assorbe tutti i dati commerciali sfruttabili sul comportamento degli internauti».

Ovviamente il discernimento tra “dati commerciali” e informazioni d’altra natura è lasciato alla decisione di chi controlla la “macchina di sorveglianza”. Perciò figuriamoci se gli Usa e i loro alleati possono dirsi disposti ad arrogare all’Itu la responsabilità nella supervisione della rete informatica mondiale. La posta in gioco è troppo alta sotto tutti i profili e i profitti, non ultimo quello commerciale che vede protagoniste le grandi reti Verizon, Deutche Telekom, Orange che trasportano il voluminoso flusso di dati. È anche su questi temi che si gioca la nuova fase dell’imperialismo mentre le miserabili platee smanettano nelle reti e nei circuiti che trasmettono l’allucinazione autorizzata.

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