lunedì 25 marzo 2013

Divide et impera



Un liberale d’antan, ex presidente della repubblica, morto nel 1961, sosteneva che nel parlamento il 20% degli eletti rappresenta la parte peggiore della media nazionale, il 20% la parte migliore della media degli italiani, e il rimanente 60% rappresenta lo specchio fedele del paese. Prese per buone queste percentuali, non è difficile stabilire sulla base dei più vari indicatori che nell’ultimo mezzo secolo tali percentuali si sono assai modificate, tanto che non è azzardato ritenere quel 20% di qualità sostanzialmente scomparso, salvo sporadiche eccezioni a conferma del dato generale. E nel nuovo parlamento? Scorgo da un lato la vecchia retorica con nuovi attori, dall’altro sincretiche illusioni che fin dai primi giorni di legislatura si sono arrese – contrariamente alle solenni dichiarazioni di principio – a vecchi schemi e interessi, salvo dolersene post festum.




E poi, bastasse portare in parlamento volti inediti e freschi propositi! Lo stiamo vedendo, quando per pagare una piccola frazione dei debiti statali, per distribuire (secondo quale criterio?) degli spiccioli ai propri creditori, il governo deve chiedere, concordare ed essere autorizzato preventivamente da vari organismi europei. Qualunque paese sottoposto a questi vincoli, non è un paese libero; qualsiasi governo nazionale privato di autonomia in simili decisioni, non ha alcuna autorità. Il parlamento nazionale in questa situazione diventa un notaio e il governo vige come un esattore di tributi, il paese è diviso dall’odio tra tartassati e gabellieri.

È la stessa architettura dell’unione europea a essere sbagliata, la stessa idea di costruire gli Stati uniti d’Europa su siffatti presupposti che porta a continue crisi ed emergenze. L’Europa ha quasi nulla in comune con la storia, la cultura, l’impianto sociale ed economico degli Stati uniti d’America. Per non dire di altre diversità. C’è un differenziale economico e di scambio tra i diversi paesi che non può e non potrà essere colmato da trasferimenti e montanti compensativi, da regole comuni e un’unica moneta. E soprattutto c’è un differenziale d’interessi enormi, si vede nella battaglia per il trasporto aereo, per quella sui porti, per le quote agricole, eccetera. Poi c’è una guerra sottotraccia, che si coglie da molteplici indizi e della quale però non sapremo mai null’altro.

È pura velleità e sconsideratezza proporre un’evasione solitaria da una simile trappola in questo particolare momento. Persino greci e ciprioti hanno ben chiaro il pericolo. Posto che sia la moneta unica in sé il vero problema, bisogna essere stupidi o in malafede per affermare che il ritorno alla vecchia moneta nazionale non produrrebbe una galoppante e devastante inflazione. E questa, da che mondo è mondo, è sempre stata agita a carico principalmente delle classe sociali più deboli. Ecco dov’è mancata ed è assente la politica, intesa come visione e strategia. Occhi puntati sullo spread, sul fuoco del debito, ma nessuna attenzione è posta ai piromani lasciati liberi d’agire. Il problema sta nelle divisioni, nel non cercare tra paesi che versano nella stessa situazione una strategia diversa, una via d’uscita comune. Divide et impera, si diceva (mi pare in tedesco).


5 commenti:

  1. Quella che agiti è la concreta possibilità di "uscirne da destra" senza ricollegare gli stipendi all'inflazione! Ceh l'uscita possa portare all'inflazione penso sia più vero che "luogocomunista", ma dipende anche che aumento sia: il mainstream piddino agita Zimbawe, ma mica è detto, potrebbe essere un aumento di 2 punti% e quindi arrivare almeno ad un 4 o 5 per cento, sforare l'ossessione del limite del 2% non è la fine del mondo se, come scritto, riallacci subito stipendi all'inflazione, a sinistra se continuiamo ad essere troppo morbidi sull'euro succederà che se ne uscirà solo da destra e allora si che gli spauracchi si avvereranno tutti.
    Comunque anche in Germani ormai il sentimento anti-euro sta iniziando a formarsi e organizzarsi politicamente, a me sembra che ormai la questione sia : Chi fa la prima mossa? E quando?
    Su questo argomento invito te e tanti altri compagni a riflettere maggiormente anche perchè mi sto rendendo conto che i keynesiani senza più rappresentanza(anche loro), trattati da estremisti dal mainstream della reazione liberisti, stanno più avanti dei marxisti su questo specifico argomento, il fatto che per noi, detto grezzamente, "non ce frega della moneta, ce frega della lotta di classe" stiamo perdendo forse un pochino il polso della situazione(parlo per generalizzazione eh).
    Umilmente ;)

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    1. è questo un punto sul quale noi due non ci troviamo d'accordo. Non solo sui numeri dell'inflazione (stime prudenti parlano di un 20-30%), ma sul momento. io personalmente non sono tra quelli cui non frega nulla della moneta, anzi. dico che la moneta, in sé non è il problema principale. le ragioni di scambio sono il problema principale, e tale squilibrio ha inevitabilmente effetti devastanti che si RIVELANO sul cambio alla pari, dovuto all'impiego di una stessa moneta. i keynesiani propongono una ricetta anticiclica che in questa fase non è sbagliata ma che non può essere sostenuta a lungo a causa del debito. i nodi al pettine sono più d'uno.
      con simpatia

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    2. Non so se sbaglio, ma io la vedo così:

      "gli squilibri che si rivelano sul cambio alla pari" sono dovuti alla maggior competitività del più efficiente sistema tedesco. Visto che le cialtrone borghesia e classe politica italiana sono sotanzialmente predatorie e per niente efficienti e innovative, in realtà, per far ripartire la nostra economia nella logica attuale di mercato, non ci sono altre altrenative alla svalutazione di salari, pensioni e prestazioni sociali.
      Che poi queste avvengano tramite la svalutazione conseguente all'uscita dall'euro, o tramite leggi alla fornero & monti fa sì una differenza sostanziale politica di percorsi, ma non nella sostanza economica che, concordo con la tua stima, prevede un taglio del 25/30% alle condizioni di vita di salariati e pensionati.
      Uscire da questo cul de sac è possibile solo attraverso politiche potenti di redistribuzione delle ricchezze e nazionalizzazioni corpose.
      Per l'attuale contesto nazionale e internazionale queste possibilità sono ancora ben lungi dal palesarsi, ma l'impoverimento e la rabbia che crescono alla velocità della luce potrebbero modificare le cose.

      Che dici? Ciao gianni

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    3. modificare le cose? mah, sono assai pessimista che le "modifiche" andrebbero nel senso auspicato. ho scritto un nuovo post, un po' per scherzo. CIAO

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  2. Io in merito a questo annoso problema, oltre agli ottimi post della qui presente Olympe, propongo sempre questo studio di Carchedi: http://www.dialetticaefilosofia.it/scheda-filosofia-saggi.asp?id=44

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