venerdì 18 gennaio 2013

Giochi d'azzardo



Uno dei primi atti del governo Monti, il 3 gennaio dello scorso anno, cioè nella fase più aspra dell’attacco speculativo al nostro debito pubblico e mentre si stangavano lavoratori e pensionati, fu di versare una cifra pari a 2.567.000.000 di euro alla potente banca americana Morgan Stanley, la stessa che proprio in questi giorni festeggia utili miliardari per il 2012. Si trattò di un’operazione di “estinzione” su una posizione in derivati del Tesoro. Molti contratti sui derivati prevedono che, dopo un certo numero di anni, una delle due parti può chiedere la chiusura della posizione. Però non accade spesso con il debito statale, e ciò per motivi che non è qui il caso di mettere in dettaglio. Ci sarebbe soprattutto da chiedersi del perché c’era una clausola di risoluzione anticipata a favore della banca e non un consenso bilaterale alla risoluzione del contratto. Ad ogni buon conto, l’operazione sarebbe consistita in una triangolazione: Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo), quella del ministro Passera, è subentrata a Morgan Stanley consentendo così agli americani di “alleggerirsi” rispetto alla Repubblica italiana.

I media, in generale, cercarono come sempre di ricondurre il tutto alla normale gestione del debito pubblico, come se con i derivati si potesse scherzare. Nel marzo scorso, Marco Rossi Doria, sottosegretario all’istruzione (?!), rispondendo ad una interrogazione parlamentare, affermò che l’Italia ha un valore di contratti derivati ​​di circa 160 miliardi di euro, quasi il 10 per cento – all'epoca – dei 1624 miliardi di obbligazioni italiane in circolazione. Sorvoliamo poi sui contratti derivati stipulati dalle varie amministrazioni locali. Secondo l’agenzia Bloomberg, contratti derivati sarebbero ancora in essere con i cinque principali operatori di swap americani, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e JPMorgan Chase.

L’agenzia Reuters riferiva come l'uso di strumenti derivati ​​in Italia per garantire il suo debito pubblico avesse prodotto una perdita di 2 miliardi di euro nel 2011 – sotto forma di pagamenti di interessi più elevati – e 4 miliardi di euro nel periodo 2007-2010, secondo i dati ufficiali. Da segnalare – come mera curiositàche nel 1994, quando il Tesoro stipulò il contratto con la Morgan Stanley, a capo della direzione del Tesoro c’era Mario Draghi. Nel 2012, invece, a condurre l’operazione è il vice ministro Vittorio Grilli, ex direttore generale del Tesoro, e la richiesta di Morgan Stanley parte dall’ex direttore generale del Tesoro Domenico Siniscalco, il quale dirige la branch italiana della banca Usa.

Tra l’altro, il figlio di Mario Monti, Giovanni, ha "lavorato" prima a Citigroup e poi a Morgan & Stanley: a Citigroup è stato responsabile di acquisizioni e disinvestimenti per alcune divisioni del gruppo, mentre alla Morgan  si è occupato in particolare di transazioni economico-finanziarie sui mercati di Europa, Medio Oriente e Africa. Chissà perché i figli di questi “tecnici” seguono pedissequamente le orme dei genitori, sarà forse un fatto genetico? Resta da vedere cosa farà Bersani (e Monti) sul conflitto d’interessi, un provvedimento sbandierato come urgentissimo, tra i primi del nuovo governo.

Nessun commento:

Posta un commento