lunedì 17 dicembre 2012

Why Poverty?



Assistevo questa mattina a una trasmissione televisiva su Raistoria del ciclo Why Poverty? Prima di trasmettere l’inchiesta filmata riguardante il nuovo tipo di colonialismo che si sta attuando in Africa ad opera delle multinazionali, il presentatore ha intervistato Carlo Petrini (slow food) sulle ragioni, appunto, della povertà. Questi ha risposto citando una frase di Gandhi: sul pianeta c’è la possibilità di dare cibo a tutti gli esseri viventi ma a causa dell’avidità di pochi esiste la povertà di molti. Questa risposta rappresenta un classico esempio di risposta ideologica e di disconnessione dalla realtà. Le cause della povertà sono in tal modo trasposte dalle responsabilità di un determinato sistema economico nei suoi meccanismi volti al profitto a quelle dei singoli individui e del loro “naturale” impulso all’accumulo di ricchezza.

Allo stesso modo, Petrini, riferendo delle questioni alimentari che affliggono il pianeta, ossia una parte della popolazione mondiale, afferma che si produce cibo per 12mld di persone pur in presenza di 7mld di viventi, dei quali 1mld soffre la fame. Secondo Petrini lo spreco è imposto da un modello di consumo sbagliato. Ecco un altro esempio di come l’ideologia borghese progressista assolva l’attuale sistema economico capitalistico (Petrini non lo nomina mai) per porre invece l’accento sull’irrazionalità dei modelli di comportamento alimentare. Questi propagandisti non si sognano nemmeno di mettere in discussione i rapporti di produzione capitalistici e cioè anzitutto i rapporti di proprietà dai quali dipende la forma di tutti gli altri.

Ecco che le ricette per un consumo compatibile si scontrano con la realtà di un modo di produzione a cui non interessa nulla di cosa produrre, avendo come scopo esclusivo quello di stillare plusvalore. 787 grandi corporation controllano l'80 per cento delle più importanti imprese del mondo e un gruppo ancora più ristretto composto da 147 gruppi controlla il 40 per cento delle più importanti multinazionali del pianeta. Chi decide il prezzo dei cereali con i quali si sfama il pianeta, il prezzo del petrolio con cui batte il cuore del mondo, sono una dozzina di gruppi di trading dotati di magazzini, flotte e stabilimenti sparsi per il mondo. Le americane Adm, Bunge, Cargill e la francese Dreyfus, tengono in pugno le commodities alimentari controllando fra il 75 e il 90% dei cereali mondiali.

Pensare di venire a capo di queste questioni propagandando modelli di consumo consapevole può avere solo effetti assai scarsi e limitati e in cerchie ristrette di popolazione, ma per il resto tali modelli virtuosi si rivelano in definitiva inefficaci. Per tutto il giorno la pubblicità ­– che costa miliardi – ci bombarda conquistando la nostra mente e la nostra anima fin tanto che possiamo gridare: “lasciateci godere della nostra ricchezza o almeno sognarla!”. E chi ancora non ha raggiunto certi livelli di consumo e di spreco mitologico è disposto a qualunque cosa pur di venire a far parte della felicità merceologica propagandata dai maghi della réclame.

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Senza dimenticare che sono stati proprio i nativi d’America ad avviare la domesticazione di mais e tacchini, senza i quali quel centinaio di coloni (altro che pellegrini) approdati in loco, troppo fanatici anche per la puritanissima Inghilterra, incapaci di far attecchire alcunché tra semi e bestie portati dalla madrepatria, si sarebbero definitivamente estinti se non avessero, armi in pugno, saccheggiato senza pudore i raccolti e gli allevamenti di quelli che si affrettarono a chiamare pellerossa. Poi ringraziarono il loro Dio per la sua benevolenza e tutt’ora, una volta l’anno, ripetono il rito propiziatorio. Sterminati i nativi, andarono a prendersi la manodopera in Africa, sempre ringraziando il loro Dio per la sua benevolenza. Nacque e prosperò così quella che poi divenne la più grande democrazia del mondo.


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