martedì 21 agosto 2012

Il punto, dal mio punto di vista

[…] la concezione materialistica della storia e la rivelazione del segreto della produzione capitalistica mediante il plusvalore, le dobbiamo a Marx. Con queste due grandi scoperte il socialismo è diventato una scienza” (F. Engels, Anti-Dühring, Introduzione).

Naturalmente non tutto ciò che si definisce marxista è scienza. Scientifica è la premessa, pervenutaci, come sottolinea Engels, dalle scoperte operate da Marx. Egli, con la concezione materialistica e dialettica della storia e la critica dell’economia politica, ha messo in luce i fenomeni profondi che riguardano la società, i reali rapporti sui quali essa poggia, in particolare quelli economici, base materiale della società umana, disvelando criticamente le leggi e le categorie che determinano il modo di produzione capitalistico nel suo movimento e nelle sue contraddizioni, non ultima, quella tra forze produttive e rapporti di produzione.

A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura (Prefazione a Per la critica dell’economia politica).

Quanto ad attribuire a Marx responsabilità per ciò che accadde dopo di lui, per le superfetazioni teoriche e pratiche di un certo “marxismo”, non solo è ingeneroso e ingiusto, ma soprattutto storicamente fuorviante. Egli fu molto chiaro in proposito quando scrisse, per esempio:

«Una parola ad evitare possibili malintesi. Non ritraggo per niente le figure del capitalista e del proprietari fondiario in luce rosea. Ma qui si tratta delle persone solo in quanto sono la personificazione di categorie economiche, che rappresentano determinati rapporti e determinati interessi di classe. Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi (Prefazione alla prima edizione del I Libro, Editori Riuniti, p. 34; Einaudi, pp. 6-7)».

Il contributo teorico di Marx al conoscimento critico della realtà storica nel suo sviluppo, sottratta cioè alle mistificazioni dell’ideologia borghese, è stato immenso. Non solo è stato il pensatore più influente del XX secolo, ma con ogni probabilità e nonostante tutto lo sarà anche per il secolo in corso. Egli, solo per citare un esempio, ha messo in chiaro il concetto generale di modo di produzione, laddove, quando va bene, gli economisti borghesi arrivano a considerare le categorie economiche come categorie naturali della produzione, date una volte per sempre, immodificabili ed eterne.

Di fronte alla crisi irreversibile del capitalismo e al proprio fallimento teorico, consolandosi del fatto che dopotutto le cose in qualche modo continuano a seguire il loro corso, la borghesia non ha nulla da contrapporre alla critica marxista se non la sistematica diffamazione e la mistificazione, operazioni per le quali sono chiamati in campo e retribuiti decine di migliaia di suoi agenti in ogni paese.

Quando scrivo “borghesia”, non mi riferisco ad una classe sociale intesa come un blocco unico e impermeabile, tanto più che l’opera di questi furfanti, presenti in ogni ordine della scala sociale e spesso dotati di scarso intelletto ma forniti di mezzi potenti, ha largamente raggiunto il suo scopo che è poi quello di far assumere agli stessi salariati il punto di vista borghese. Con ciò, evidentemente, i salariati sono giunti a negarsi in quanto negazione vivente del capitale e del suo sistema sociale, in cambio di molto poco e sempre sotto minaccia di revoca.

Anche questo Marx lo aveva previsto quando rilevò che man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. Del resto, i salariati vivono un’esistenza contraddittoria quando vengono immessi nel processo lavorativo [in quanto] hanno già cessato d’appartenere a se stessi. Entrandovi, sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come membri d’un organismo operante, sono essi stessi soltanto un modo particolare d’esistenza del capitale”. Gli operai non producono solo plusvalore, ma anche la produzione e riproduzione del rapporto di produzione specificamente capitalistico, ossia le condizioni stesse del loro sfruttamento materiale e del proprio asservimento totale.

Da questo preciso punto, credo, debba partire l’analisi e la critica del presente.

3 commenti:

  1. in effetti i salariati sono membri , piu' o meno "volontarii" , del sistema capitalistico( direi come le api operaie negli alveari) e possono divenire "rivoluzionarii" solo in particolari condizioni
    1)formamono masse omogenee
    2)detengono comunque tutte le competenze produttive
    3) la compressione dei loro salarii diventa insopportabile
    essendo che in questa globalizzazione le prime due condizioni sono venute a mancare, la 3 per quanto dolorosa,(ahinoi) non bastera'

    ws

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  2. Sempre ottimi spunti di riflessione su questo blog

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