giovedì 30 settembre 2010

Ottanta anni dopo, le medesime contraddizioni, gli errori di sempre



Il quotidiano la Repubblica, con una corrispondenza non firmata, lacunosa e scritta male [qui], informa che la “Camera dei rappresentanti Usa” ha dato il via libera “al progetto di legge che prevede l'imposizione di sanzioni commerciali nei confronti della Cina a causa dello yuan sottovalutato. Il progetto è stato approvato con 348 voti a favore e 79 contrari”.
Cos’è successo in realtà? Nei fatti quello che avevo già illustrato in un post alcuni giorni or sono [qui]. Ieri la Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato una legge affidando all'esecutivo, cioè ad Obama, il potere di imporre dazi punitivi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti dei paesi la cui moneta è giudicata "sostanzialmente sottovalutata". Il provvedimento è stato spinto dalla leadership democratica e sostenuto dalla stragrande maggioranza democratica del Congresso, con un sostanziale sostegno repubblicano.
La votazione è stata 348 a 79, con 99 repubblicani unitisi ai 249 voti dei democratici, mentre ha votato contro il provvedimento 74 repubblicani e 5 democratici.
Il disegno di legge è apertamente diretto contro la Cina, la quale è oggetto di una crescente pressione da parte dell'amministrazione Obama al fine di costringerla ad aumentare rapidamente il tasso di cambio della sua moneta, il renminbi (o yuan), in modo da rendere le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti meno competitive, ovvero meno costose quelle degli Stati Uniti per la Cina.
In realtà si tratta per gli Usa di ricostituirsi come paese manifatturiero, per diversi motivi, che vanno dal deficit della bilancia commerciale al problema della disoccupazione di massa, alla vera e propria rivalità economica e strategica con la Cina.
Ciò che inoltre la corrispondenza di Repubblica non dice, per ovvi motivi essendo un foglio del padronato italiano filoatlantico, è che al centro di questa politica c’è il progetto di un raddoppio delle esportazioni statunitensi in cinque anni, il quale, per essere realizzato, implica la riduzione drastica dei salari dei lavoratori americani e fa aumentare il loro sfruttamento, in modo da ridurre il differenziale di costo del lavoro tra gli Stati Uniti e le economie cosiddette emergenti. Questa promozione del nazionalismo economico e dello sciovinismo americano ha il pieno appoggio dei sindacati.
Altro punto fondamentale che la corrispondenza di Repubblica non menziona, è il fatto che il voto della Camera non è sufficiente per far diventare esecutivo il provvedimento, in quanto la proposta di legge dovrà passare prima al Senato, e le prospettive di passaggio al Senato, dopo le elezioni del prossimo novembre, non sono date per scontate.
Ma anche se approvato dal Senato e divenuto legge, il provvedimento avrebbe poco impatto diretto sul commercio Usa-Cina. Infatti, la disposizione che consente al governo di imporre dazi compensativi nei confronti di qualsiasi paese considerato responsabile di sottovalutare la propria moneta, è stata largamente spogliata, nei modi e nei mezzi, della sua efficacia dall’apposita commissione prima di essere portata al voto. In definitiva, il disegno di legge consente al Ministero del Commercio di definire la sottovalutazione di una valuta come una sovvenzione commerciale illegale e permette alle multinazionali che producono le merci importate (dalla Cina) di presentare una specie di petizione e di pagare una modesta sanzione. Ed è questo, evidentemente, il punto chiave della faccenda.
L’ufficio di bilancio del Congresso ha stimato che il disegno di legge non riuscirà in tal modo a far recuperare più di 20 milioni di dollari l'anno di sanzioni, rispetto a un miliardo di dollari di importazioni giornaliere dalla Cina.
Insomma la realtà è molto più contraddittoria di ciò che viene fatto intendere ai lettori di Repubblica e a quelli italiani in generale.
Tuttavia, il disegno di legge rappresenta un importante passo verso la guerra commerciale aperta con la Cina e intensificherà la diffusione delle svalutazioni competitive e le misure protezionistiche a livello internazionale. Gli sviluppi di tale conflitto, per ora sul piano mercantile e monetario, sono imprevedibili. Le principali economie cercano tutte di ridurre il tasso di cambio della loro moneta, al fine di ottenere un vantaggio commerciale competitivo in condizioni di crescita e di mercati stagnanti. Gli Stati Uniti stanno aprendo la strada perseguendo una politica di dollaro a buon mercato, il quale è diminuito del’11 per cento dal mese di giugno nei confronti di un paniere di valute ed è ora al livello più basso da febbraio (si pensi che la moneta brasiliana ha guadagnato in poco tempo il 30% rispetto al dollaro, con conseguenze disastrose per le esportazioni).
Anche l’Europa, guidata dalla Germania, sta facendo lo stesso per l'euro. Due settimane fa il Giappone, la cui moneta era salita di oltre il 10 per cento rispetto al dollaro dal mese di maggio, è unilateralmente intervenuta sui mercati valutari con la vendita di 1.000 miliardi di yen per forzare verso il basso il suo tasso di cambio.
Infine, c’è da osservare che il provvedimento di legge Usa, se approvato definitivamente, sarà in flagrante violazione delle norme commerciali internazionali e le disposizioni della World Trade Organization. Ciò nonostante, sta di fatto che Washington, per costringere la Cina a rivalutare la sua moneta, cercherà di allineare il sostegno internazionale sulla propria iniziativa al vertice del G20 che si terrà 10-11 novembre a Seoul.


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